mercoledì 20 marzo 2013

L'Imperatore-Profeta di Gothian. Capitolo 4. La Dinastia.




Irulan Eclionner, Reggente dei Lathear da trent'anni, era anche chiamata la Vergine Regina, e per sottolineare la sua purezza, vestiva di bianco, mentre le sue dame di compagnia, le onorevoli ladies, vestivano di nero, con veli e gramaglie.
Irulan incarnava e rappresentava lo spirito e l'unità della Dinastia Imperiale e occupava il trono del Drago al posto di suo cugino Marvin, l'Imperatore-Profeta di Gothian.



Molti la consideravano, per il fatto di essere stata testimone e protagonista di mezzo secolo di politica imperiale, la memoria storica della Dinastia.
Tuttavia, le poche persone con cui Irulan si confidava, sapevano che la principessa-reggente era ben diversa dall'immagine di solidità monolitica con cui si presentava nella sala del trono.
Non son chi fui; perì di noi gran parte...
Irulan amava molto quella citazione da Foscolo.
Non aveva mai capito se stessa, le motivazioni profonde del suo agire. Percepiva in sé, nel proprio modo di pensare e agire, una incoerenza di fondo di cui provava una segreta vergogna.
La vergine regina... come se questo fosse un merito... ah, se avessi dato ascolto ad Elner! Una donna non può rinunciare a tutto a trent'anni... nemmeno a quaranta... mai prendere decisioni definitive... se ne pentirà... prima o poi, se ne pentirà... è quasi inevitabile...
Malediceva se stessa e il modo in cui aveva liquidato suo marito, che le offriva tutto ciò di cui ora sentiva una mancanza insopportabile.
Ho lasciato morire la parte migliore di me... mi sono imbalsamata in un ruolo sempre più insostenibile... 
Persino Elisabetta I Tudor aveva percepito la vuotezza della sua vita e si era lasciata morire di fame. "Chiamatemi un prete" aveva detto, con la consueta lucidità: "ho intenzione di morire".



Elisabetta la Grande si lasciò morire di stenti... pochi lo sanno... gli storici hanno operato una censura... come se in fondo la persona non contasse nulla rispetto al ruolo... perché siamo diventati così terribilmente disumani?



La risposta era già contenuta nella domanda.
Irulan lo sapeva meglio di chiunque altro.
Chi aveva scelto il Sentiero Dorato di Marvin Eclionner Vorkidian aveva implicitamente accettato l'idea pericolosa secondo cui l'individuo sarebbe sacrificabile per il bene della specie.
E lo stesso valeva per il bene della Dinastia. Fratricidio, incesto, figli strappati ai genitori e sottoposti al lavaggio del cervello. Come ho potuto accettare tutto questo in nome di un principio astratto?
"Perì di noi gran parte".
Non c'era niente di più morto della giovane donna che era stata quando Marvin le aveva assegnato la Reggenza, ingabbiandola in una prigione con sbarre dorate.
Nei trent'anni in cui Irulan era interminabilmente sopravvissuta a se stessa, erano morti tutti coloro che, nella Dinastia, avevano rappresentato qualcosa di autonomo, di diverso rispetto al regime dell'Imperatore-Profeta.
Persino quelli che sono a Gothian, non possono essere considerati vivi. Quel luogo equivale agli Inferi. 
Ma gli Inferi ogni tanto mandavano qualcuno a ricordare che non erano morti.
E così, Anakin Eclionner, il figlio di Sephir e Marigold, era calato giù dal nord come un avvoltoio, pronto a togliere di mezzo l'ultima scomoda testimone di tempi in cui il Sentiero Dorato non significava niente
.


Una faccia d'angelo che nasconde un'anima demoniaca. Il figlio di Sephir e Marigold, della Tenebra e del Fuoco... addestrato da Marvin ed Ellis, luce e oscurità compenetrate insieme come nei simboli orientali... come ho potuto permetterlo!
Si era presentato a lei con una tracotanza che le aveva fatto rimpiangere la formale cortesia di Elner.
Del resto, che altro ci si poteva aspettare dal figlio di Marigold di Gothian?
Quel suo maledetto sguardo! Quegli occhi che ti fissano minacciosi! Non ha bisogno di parlare, il suo sguardo dice tutto.
Il messaggio era chiaro: "Io sono più forte di te. Tu sarai solo un burattino nelle mie mani. E imparerai a ringraziarmi per questo".
Non c'erano margini di contrattazione.
Trent'anni fa si poteva ancora contrattare... c'era una possibilità di scelta... ed io ho fatto la scelta sbagliata.
Rimaneva soltanto il suo ruolo, la maschera, l'aura di potere che Irulan aveva costruito con sapiente gusto coreografico e drammaturgico.
Non le rimaneva che recitare la sua parte:
<<Anakin Eclionner, ti porgo il benvenuto nella Città Eterna, che ti accoglie come un figlio, poiché qui che tu fosti concepito, e qui fu generata la Dinastia imperiale di cui tu ed io portiamo il cognome. Ora l'Impero del Sole ha di nuovo il suo sole nascente!>>



Anakin le aveva baciato la mano ingioiellata, con decisione e forza. Una mano calda e ruvida che univa il fuoco di sua madre con l'abilità di guerriero di suo padre.
Irulan ne aveva paura, e anche disgusto, ma non erano previste improvvisazioni.
<<Quali messaggi porti dal nord?>>
Anakin, rimanendo in piedi a pochi passi dal trono, valutava con attenzione la donna che per trent'anni era stata sul Trono per cui si erano combattute tante guerre, e pareva chiedersi chi si nascondeva realmente dietro a quella facciata di serena benevolenza.
<<L'Imperatore-Profeta ti benedice e manda me come sostegno per la tua venerabile età>>
Irulan mostrò un sorriso che molti avevano imparato a temere:
<<Ringraziamo tutti la lungimiranza del nostro sovrano e guida spirituale, che alla sua benedizione unisce il dono di un così valido collaboratore>>
Anakin non dette segno di aver capito la sottile ironia del "così valido", mentre i suoi occhi determinati tradirono la soddisfazione per il termine "collaboratore".
Ora è Associato alla Reggenza. E sa di essere il Sole nascente. 
La recita era giunta al momento della consacrazione.
Irulan fece cenno di portare pane e vino.
Dopo aver condiviso il pane e il sale, alzò il calice:
<<Diecimila anni al Celeste Imperatore!>>
Anakin non colse la sottile inflessione ironica nel tono di voce della Reggente e nell'enfasi con cui era stata pronunciata la formula di benedizione.
<<Diecimila anni!>> esclamò lui, con l'eccessiva sicurezza di chi non è abituato ad aver di fronte a sé un'abile mentitrice, una che non dice bugie, ma solo mezze verità.