venerdì 28 febbraio 2014

Oscar 2014: guida ai candidati nella categoria del miglior film


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12 anni schiavoAmerican HustleCaptain PhillipsDallas Buyers ClubGravityLei - Her,NebraskaPhilomena e The Wolf of Wall Street. Sono questi i nove film che la notte di domenica 2 marzo si contenderanno la statuetta più ambita degli 86esimi Academy Awards.(Qui l'elenco completo delle nominations)

Ecco dunque una breve guida ai candidati all'Oscar 2014 nella categoria del miglior film. 

12 anni schiavo 

9 candidature : Miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista , miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio, miglior scenografia, migliori costumi


Stati Uniti, 1841: Solomon Northup è un uomo libero, che vive sereno con la sua famiglia facendo il violinista. Un giorno viene contattato da due impresari, che gli offrono molti soldi per una tournée: ma si tratta di un trucco. Solomon viene drogato, rapito e portato in Louisiana, dove viene venduto come schiavo; fino a quando, 12 anni dopo, riesce finalmente a riappropriarsi della sua identità e della sua libertà.
Da una storia realmente accaduta nasce il terzo film dell'inglese Steve McQueen, dopoHunger Shame; in 12 anni schiavo, però, il regista estremizza i difetti del secondo e dimentica molti pregi del primo. Sotto la sua eleganza formale, all' evidenza di tematiche indubbiamente importanti e (per questo) fagocitanti ogni considerazione al riguardo, 12 anni schiavo è solo l' ultimo in ordine di tempo in un lungo elenco di film eticamente importanti che raccontano la loro storia di soprusi e sofferenze, e dove lo schiavismo sarebbe perfettamente intercambiabile con la Shoah o con la violenza di una dittatura o con qualsiasi altro orrore; e lo fa, come altri hanno fatto,con il chiaro intento di stimolare un' indignazione salottiera, uno scandalo passeggero, e non di perturbare realmente le certezze e la coscienza di chi guarda. 

American Hustle

10 candidature: Miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, miglior attrice protagonista, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior scenografia, migliori costumi
Negli anni '70, il truffatore Irving Rosenfeld (Bale) si trascina in un matrimonio difficile con sua moglie Rosalyn (Lawrence), finché non incontra la bella Sydney (Adams), sua immediata complice e amante. I due sono però fermati da un agente dell'FBI, Richie (Cooper), che per far cadere le accuse chiede la loro collaborazione nell'incastrare il corrotto sindaco di Camden, Carmine Polito (Renner).
Il regista David O. Russell concilia uno stile sopra le righe con una plausibilità filologica e un realismo convincenti. Gli attori sono liberi di abitare i personaggi e di abbandonarvisi, ma si avverte anche che Russell pretende la loro aderenza a un progetto coerente. Il buon lavoro poggia su una visione del mondo non schematica, essendo il film ispirato a una storia vera: come viene detto nei dialoghi, è la "zona grigia" a trionfare sul bianco e sul nero, il mondo degli antieroi dall'etica dubbia ma dalla fedeltà ai propri principi. L'imprevedibilità di American Hustlenon è tanto nei suoi colpi di scena, quanto in una libertà autoriale contagiosa.

Captain Phillips - Attacco in mare aperto

6 candidature: Miglior film, miglior attore non protagonista, miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro, miglior missaggio sonoro.
La Maersk Alabama, un nave mercantile in navigazione attorno al Corno d'Africa, viene assaltata da un gruppo di pirati somali. Il capitano della nave, Richard Phillips, dovrà fare di tutto per salvare la nave e il suo equipaggio, cercando un difficilissimo dialogo con la sua controparte somala, il nervoso e disperato Muse.
Nelle mani di Paul Greengrass, un fatto di cronaca raccontato dai media di tutto il mondo diventa l'ennesima riflessione su una geopolitica esplosa e impazzita, dove la cesura dell' 11 settembre continua a generare crepe, ferite e divisioni, dove la presenza globale, opulenta e imperante degli Stati Uniti si scontra con realtà locali diametralmente opposte. Captain Phillipsè vicinissimo per concetto e realizzazione a United 93, e con quello rappresenta forse l 'espressione migliore del cinema di Greengrass fino ad oggi.

Dallas Buyers Club

6 candidature: Miglior film, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior trucco
Dopo anni in cui girava per le scrivanie di mezza Hollywood finalmente la storia vera del texano Ron Woodroof è diventata un film grazie all'insistenza di Matthew McConaughey, che interpreta questo texano omofobo, rude e intrattabile che negli anni '80 scopre di avere contratto il virus dell'HIV. I medici gli danno pochi mesi di speranza di vita, ma lui non lo accetta e vuole curarsi a modo suo, cercando cure alternative. L'incontro con il transessuale sieropositivo Rayon (Jared Leto) segnerà la sua lotta per la sopravvivenza, ma soprattutto il tempo che gli resta da vivere.
La macchina emotiva di Dallas Buyers Club riesce a smentire il cinico, a emozionare l'arido e a intrattenere l'apatico. Lo fa riuscendo a mescolare in maniera convincente gli ingredienti tipici del cinema di Hollywood. Allora la figura dell'omofobico bifolco texano Ron Woodroof ci colpisce al cuore; senza farne un santino, ma mantenendolo dannatamente pieno di difetti, pian piano diventa impossibile non affezionarsi. Jean-Marc Vallée riesce a divertire, indignare, emozionare, commuoverci, non forzando all'estremo nessuno di questi aspetti.


Gravity

10 candidature: Miglior film, miglior regista, miglior attrice protagonista, miglior colonna sonora, miglior montaggio, miglior scenografia, miglior fotografia, miglior montaggio sonoro, migliori effetti visivi, miglior missaggio sonoro
La brillante dottoressa Ryan Stone è alla sua prima missione spaziale, mentre l'astronauta Matt Kovalsky è all'ultimo volo prima della pensione. Quella che per loro doveva essere una passeggiata spaziale di routine si trasforma in una catastrofe. Lo Shuttle viene distrutto da una scia di rifiuti spaziali e loro si ritrovano soli nell'assordante silenzio dell'universo. Fluttuanti nell'oscurità e privi di qualunque contatto con la Terra non hanno apparentemente alcuna chance di sopravvivere anche per via dell'ossigeno che va esaurendosi.
Diviso in maniera piuttosto evidente ma molto graduale in due parti, legate alla sorte dei protagonisti, Gravity è una sorta di Open Water siderale nella prima, mentre nella seconda quasi un film ascrivibile al recente filone della fantascienza esistenziale, a dispetto di un 'ambientazione orbitante ma tutta contemporanea. Tra le due, nettamente preferibile la prima, nella quale Cuaron attualizza la fantascienza un po' ruvida degli anni Settanta ibridandola con una spettacolarità che solo le tecnologie di oggi possono garantire. Il senso di ansia di fronte al vuoto infinito, la claustrofobia provocata dallo spazio, tengono viva l 'attenzione dello spettatore, fa fare qualche salto sulla sedia e solleticano più di un nervo.

Lei

5 candidature: Miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior colonna sonora, miglior canzone originale, miglior scenografia



Los Angeles, in un futuro non troppo lontano. Theodore, un uomo solitario dal cuore spezzato che si guadagna da vivere scrivendo lettere personali per gli altri, acquista un sistema informatico di nuova generazione progettato per soddisfare tutte le esigenze dell' utente. Il nome della voce del sistema operativo è Samantha, che si dimostra sensibile, profonda e divertente. Il rapporto di Theodore e Samantha crescerà e l' amicizia si trasformerà in amore ma...

Altro che tecnologia e mondo virtuale: il Theodore Twombly di un bravissimo Joaquin Phoenix(e il cognome del personaggio non appare scelto a caso), è infatti la pedina che nelle mani di Spike Jonze è utile a raccontare questioni tutte umane: questioni sentimentali, caratteriali, evolutive nel senso più ampio del termine. Lei è un film che, con una serietà mai pedante, con un 'amarezza mai cupa e con spirito sempre irriverente, parla di maturazioni e illuminazioni, di accettazione e di consapevolezza di sé e del mondo. Della difficoltà enorme insita nella ricerca della felicità. Felicità fatta di carne, carta e cemento, ma anche di spirito e intelletto, dall' equilibrio precario e insondabile.


Nebraska

6 candidature: Miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura originale, miglior fotografia

Woody Grant è un uomo anziano che esagera con la bottiglia e che crede di aver milioni di dollari grazie ad un concorso-civetta. Decide di mettersi così in viaggio, dal Montana al Nebraska, per ritirare il suo premio. Sua moglie, Kate, è contraria al viaggio, così come lo è suo figlio David: ma alla fine David è costretto a cedere di fronte alla testardaggine del padre e ad accompagnarlo in un viaggio che cambierà il loro rapporto e li porterà a riscoprirsi l'un l'altro.
È un film impeccabile, Nebraska, se per impeccabile significa calcolato col bilancino e realizzato con uno stampino che non ammette sbavature. Risponde a praticamente tutti i requisti richiestigli dal suo pubblico di riferimento: la vecchiaia e la malattia, la famiglia e le sue contraddizioni, la nostalgia per il passato e l' ansia per una vita al termine, il recupero della dimensione di figlio e della figura di un padre. Ma quell 'impeccabilità lì, allora, fa anche rima con prevedibilità.


Philomena

4 candidature: Miglior film, miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura non originale, miglior colonna sonora



Ex spin doctor della politica britannica, Martin Sixsmith è costretto a tornare alla professione giornalistica e ad occuparsi di casi di cronaca. S 'imbatte così nella storia di Philomena, un 'anziana donna irlandese che cerca di trovare il figlio che era stata costretta a dare in adozione 50 anni prima dalle suore del cui convento viveva fin da giovanissima.
Tratto da una storia vera e perfettamente in bilico tra dramma che ti strappa le lacrime senza essere strappalacrime, e commedia esilarante dotata di battute e tempi impeccabili, Philomenaprocede sicuro e con uno sprezzo del pericolo understated come le interpretazioni di Steve Coogan e di Dame Judi Dench.
Con quella scrittura, con quelle interpretazioni e con quell 'equilibrio di regia che guarda direttamente a un cinema che tutti si lamentano non esistere più, Philomena è un film che avrebbe potuto raccontarti qualsiasi vicenda, e tu te la saresti bevuta con la stessa placida arrendevolezza.


The Wolf of Wall Street

5 candidature: Miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista, miglior sceneggiatura non originale



Fresco d'assunzione come broker presso un'importante agenzia di Wall Street, Jordan Belfort rimane senza lavoro dopo il lunedì nero del 1987. Caparbio e intelligente, Jordan metterà su in breve tempo un'agenzia tutta sua, assistito da personaggi di dubbia provenienza e utilizzando metodi poco ortodossi e legali. La sua sarà un'ascesa fulminea, che il senso d'onnipotenza e la dipendenza da ogni tipo di droga e di sesso trasformerà in un drammatico crollo.
The Wolf of Wall Street non è - se Dio vuole - un film sulla finanza.
Non lo è perché, nonostante vada ad indagare le radici dell' attuale crisi economica mondiale e della deriva (a)morale del capitalismo, Martin Scorsese mette in chiaro che la sua non è un' analisi sociologica o economica, ma etnologica e antropologica. Jordan, con la sua parabola sbilenca e inquietante, è il più recente tassello del mosaico umanista che il regista italoamericano va costruendo fin dai tempi di Toro scatenato, e forse perfino di Taxi Driver: l' ennesimo personaggio scorsesiano che vive di nevrosi e ossessioni, avido di potere, gloria o denaro, incapace di porre un freno alla sua sempre più evidente autodistruzione.
Se il film, che Scorsese costruisce arditamente spingendo sul pedale del grottesco, cattura il desiderio dell'occhio dello spettatore, non sempre alimenta il suo bisogno d'interrogarsi su quegli anni e quel personaggio.



Geopolitica dell'Iraq



A due mesi di distanza dalle elezioni parlamentari previste in aprile, l’ondata di violenza che ha colpito l'Iraq sta spingendo il paese verso un nuovo conflitto settario.

Secondo i dati di un recente rapporto dell’Onu, il 2013 è stato l'anno più violento dal 2008: eppure, quello da poco iniziato rischia di essere peggio, riportando il paese al terribile biennio 2005-06 quando la violenza confessionale lasciò sul terreno oltre 50 mila vittime. Solo a gennaio, gli attacchi sono stati circa 950, con quasi 1500 vittime: il doppio rispetto a quanto registrato l'anno precedente e il livello più alto dall'aprile 2008.

Gli ultimi dati sono in parte condizionati da quanto sta accadendo nella provincia occidentale di al Anbar, dove da inizio gennaio i militanti dello Stato islamico di Iraq e Siria (Isis) hanno preso il controllo dei maggiori centri provinciali, tra i quali Fallujah e Ramadi, approfittando del malcontento della comunità locale sunnita contro il governo a guida sciita di Nouri al Maliki.

Anbar è la più ampia delle province irachene: si estende verso occidente dai sobborghi di Baghdad ai confini statali con Siria, Giordania e Arabia Saudita. Mosaico di clan e tribù di orientamento sunnita, Anbar è uno storico bastione della confederazione tribale Dulaimi che in passato ha supportato il regime baathista di Saddam Hussein in cambio di una relativa autonomia nella gestione delle rotte commerciali verso occidente.

La composizione etnico-religiosa spiega in parte perché, negli anni dell’invasione statunitense, la regione sia stata teatro di scontri particolarmente cruenti, con buona parte dei Dulami che insorse contro il governo centrale a guida sciita fino all’avvento dei cosiddetti Consigli del risveglio, che avrebbero supportato l’offensiva statunitense contro i militanti jihadisti.

La composizione religiosa spiega inoltre il motivo per cui proprio la provincia di Anbar è diventata uno dei principali focolai del movimento di protesta che ha avuto inizio nel 2012, a seguito della detenzione di alcuni politici sunniti originari della regione, e che persiste ancora oggi dopo essersi esteso gradualmente ad altre aree a prevalenza sunnita del paese, come Diyala e Kirkuk. Il movimento di protesta, largamente pacifico e composto anche da tribù sunnite, chiede una maggiore rappresentanza politica per le proprie comunità che subirono la marginalizzazione della coalizione Iraqiyya operata dal governo Maliki. Nelle elezioni del 2010, la coalizione aveva dato rappresentanza agli iracheni sunniti contribuendo a disinnescare gli effetti delle paventate politiche settarie di Baghdad.

Il governo ha tentato in più occasioni di reprimere questo dissenso, come accaduto nell’aprile 2013 quando le forze di sicurezza lanciarono un raid per sgomberare il campo di protesta di Hawija, nei pressi di Kirkuk, causando la morte di circa 42 manifestanti. Nei giorni successivi, gli scontri tra l’esercito e le milizie sunnite e jihadiste - che tentarono di inserirsi per sfruttare a proprio favore la protesta - causarono circa 300 vittime.

Quanto accaduto a inizio anno ricalca in parte gli eventi del 2013. Ma questa volta il tentativo dell’Isis, che ad al Anbar ha da tempo una delle sue roccaforti, è stato più efficace. L'annuncio, dato a dicembre, di un’imminente offensiva contro i gruppi armati presenti nella provincia venne interpretato dall’establishment politico iracheno come una pericolosa iniziativa dalle venature settarie. Seguì l’ennesimo giro di vite contro i leader della protesta, la rimozione forzata di un campo alla periferia di Ramadi e l’esplodere degli inevitabili scontri tra manifestanti e Forze di sicurezza nei quali persero la vita 6 persone.

La stabilità di al Anbar fu così scossa, offrendo ai miliziani dell'Isis l'opportunità di inserirsi con successo nel caos che ha fatto seguito all'attacco governativo. Il gruppo, evoluzione dell’organizzazione guidata a suo tempo da Abu Musab al Zarqawi, ha evitato lo scontro frontale con le tribù sunnite - ostili sia al governo Maliki sia agli stessi jihadisti - riuscendo in breve tempo a prendere il controllo di postazioni governative e militari da cui sfidare l'esercito iracheno.

Fino a questo momento, il governo Maliki ha preferito non lanciare alcuna offensiva su larga scala, via terra, nell'intento di non alienarsi ulteriormente la comunità sunnita, puntando piuttosto a convincere le tribù locali a espellere i militanti jihadisti come condizione per scongiurare l'intervento dell'esercito. Frattanto, proseguono i bombardamenti e i raid aerei delle Forze armate che hanno permesso ai governativi di riprendere il controllo di Ramadi, senza per questo evitare una dura escalation negli scontri con i militanti dell’Isis.

Nonostante le violenze di al Anbar siano legate a doppio filo con questioni di politica interna e settaria, è indubbio come il fattore-Isis abbia avuto un ruolo di primo piano nel far lievitare il livello delle violenze in Iraq. Dopo alcuni anni in cui il gruppo sembrava aver intrapreso una parabola discendente, il suo coinvolgimento in Siria ha permesso all’organizzazione di estendere il proprio teatro operativo e di attingere a una più ampia base di militanti e armi garantitegli dalla porosità della frontiera tra Iraq e Siria.

L’Isis gode di una popolarità in aumento grazie alla leadership del suo emiro, Abu Bakr al Baghdadi. La nuova stella del movimento jihadista è stata in grado di resistere alla pressione dello stesso leader di al Qaida, Ayman al Zawahiri, il quale ebbe modo di esprimersi in più di un’occasione contro la fusione dell'iracheno Stato islamico di Iraq e di parte del siriano Jabhat al Nusra, da cui sarebbe poi emerso l'Isis. Per questo motivo, la fusione ha finito per creare una delle più profonde fratture che il panorama jihadista abbia mai conosciuto nel cuore del Medio Oriente.

Il gruppo di al Baghdadi è comunque destinato a rimanere un polo di riferimento per i jihadisti del Levante, forte del suo messaggio di protettore dei sunniti in Iraq, in Siria e più di recente anche in Libano, contro quella che definisce "l’oppressione dei regimi safavidi regionali". Il nuovo ruolo regionale dell’Isis non implica una varuazione nelle sue priorità: nonostante aspiri a creare uno Stato islamico in grado di copriregeograficamente tutto il Levante, questa spinta parte prevalentemente dall’Iraq. La Siria garantisce al momento un retrovia strategico grazie al corridoio rappresentato per l’appunto da al-Anbar.

In Siria, Isis è impegnato nella guerra contro l’Esercito di Damasco - e in parte contro le brigate islamiste contrarie alla sua azione - supportata da una strategia di conquista e amministrazione del territorio che in Iraq solo nella provincia di al-Anbar ha di recente trovato una replica parziale. Nello stesso Iraq, il gruppo ha soprattutto lanciato una sfida diretta al governo centrale, con una campagna insurrezionale in costante aumento dalla fine del 2011. Nonostante si sia concentrata soprattutto nelle province occidentali a maggioranza sunnita, come Ninewa, Salaheddine e al Anbar, il centro nevralgico delle operazioni continua a essere la provincia di Baghdad e altri distretti provinciali dove la presenza sciita è comunque alta.

L'Isis intende colpire i centri del potere iracheno e della comunità sciita, dimostrando la propria capacità nel violare anche le aree più protette della capitale e l’incapacità del governo nel garantire la sicurezza anche dove la presenza dei militari è più densa. L’assalto contro il ministero dei Trasporti di Baghdad (fra fine gennaio) e la serie di attentati nella green zone della capitale (e inizio febbraio) sono una chiara dimostrazione delle capacità operative del gruppo e dalla debolezza dell’apparato della sicurezza iracheno.

Nonostante l’Isis rappresenti la principale minaccia alla stabilità irachena, l’emergere di nuovi e vecchi elementi insurrezionali ha aggravato la prospettiva di un conflitto settario. Gruppi come il neo-baathista Naqshbandia army hanno già iniziato ad attrarre membri della comunità sunnita desiderosi di abbandonare la protesta di piazza per l’attività insurrezionale, mentre gruppi emersi negli anni della guerra civile come l’Islamic army, Hamas Iraq, le Brigate rivoluzionarie 1920 e il Mujaheddin-e Khalq sarebbero tornati attivi nella provincia di al Anbar.

Nelle ultime settimane, sul fronte sciita, membri dell’Asaib Ahl al Haq, brigata che si ritiene sostenuta dall’Iran e che ebbe un ruolo di primo piano ai tempi dell'invasione Usa, sono tornati a mobilitare le proprie forze in chiave anti-Isis per rispondere alla serie di attentati contro le aree sciite del paese. Secondo fonti statunitensi anche altre milizie sciite, come la Badr organization o il Kataib Hezbollah, avrebbero iniziato a operare con il beneplacito delle forze di sicurezza.

Questo quadro rischia dunque di polarizzare ulteriormente le divisioniconfessionali dell’Iraq in un momento chiave della sua transizione politica, proiettando definitivamente anche Baghdad nell’aperta contrapposizione tra sunniti e sciiti che sta infiammando gran parte del Levante.

da Limes, Per approfondire: Dieci anni dopo, l'Iraq non esiste
(27/02/2014)

Cambiamento climatico e conflitti di potere in Africa



Il cambiamento climatico è uno dei fondamentali fattori di qualsiasi analisi geopolitica sul mondo di oggi. Il riscaldamento dell’atmosfera prodotto dalla concentrazione dell’anidride carbonica (gas serra), che nella seconda metà di questo secolo (fra 2050 e 2070) sarà doppia rispetto al livello toccato prima della rivoluzione industriale (560 parti per milione contro le 280 di allora), è infatti un macrofenomeno destinato a incidere su tutti gli aspetti della vita associata, non escluse le strutture istituzionali e politiche.

Non si possono capire i conflitti di potere attuali senza considerare quanto siano influenzati dai mutamenti nella configurazione geofisica dei territori prodotti dall’innalzamento delle temperature e dalle conseguenze sociali e politiche da esso prodotte. Le quali sono molto diverse a seconda degli spazi geografici su cui impattano. Insomma, se il riscaldamento è un fenomeno globale, i suoi effetti sono molto specifici e variati. Ma insieme a questa diversità bisogna considerare, nella valutazione geopolitica del cambiamento climatico, le peculiarità di continenti e nazioni diverse, anche sotto il profilo sociale ed economico.

Prendiamo per esempio l’Africa. Qui il riscaldamento dell’atmosfera significa accelerare la desertificazione (vedi il report Unesco con le mappe di Laura Canali per Connect4Climate). Questo vuol dire più fame, più povertà, più migrazioni alla ricerca di regioni meno ostili alla vita umana. Il paradosso è che a soffrire di più è un continente che produce emissioni di gas serra – fonte primaria del cambiamento climatico – relativamente modeste. Le emissioni pro capite in Africa nel 2008 (stime più recenti) sono il triplo del 1950, ma appena il 6,6% di quelle registrate in Nordamerica.

Un altro esempio sono le isole e gli arcipelaghi particolarmente esposti all’innalzamento del livello delle acque marine – altro effetto del riscaldamento dell’atmosfera. Un evento che sta letteralmente cambiando la faccia del pianeta. Si consideri solo che l’innalzamento del livello dei mari nel decennio 2001-2010 è stato di 3 millimetri all’anno, ossia il doppio della tendenza osservata nel Novecento, quando si trattava di 1,6 millimetri/anno. Restando all’Africa, i delta del Nilo e del Niger sono direttamente minacciati dalla penetrazione di acqua salata. Con effetti disastrosi, anzitutto, sulle economie di due fra i massimi paesi del continente, Egitto e Nigeria.

Ci sono poi i fenomeni climatici estremi, visibili ormai in tutto il mondo, Occidente sviluppato compreso. Nelle più povere regioni dell’Africa subsahariana, ad esempio, le piogge particolarmente intense minacciano l’habitat di molte regioni, specie presso le coste del Golfo di Guinea o tra Kenya e Mozambico. Mettendo fra l’altro a rischio i raccolti agricoli.

Tutti questi fenomeni hanno il potere di incrementare il rischio di conflitti di origine climatica. La caccia alle risorse naturali – a cominciare dall’acqua – è un vettore di guerre destinato a diventare sempre più visibile nel prossimo futuro. Si pensi solo all’importanza del controllo delle falde acquifere e della Valle del Giordano nel caso israelo-palestinese, o alla competizione per le acque del Nilo, che tocca principalmente Etiopia, Sudan ed Egitto.

La conoscenza di questi rischi è ancora limitata, ma sarà una delle frontiere dell’analisi strategica nel prossimo futuro, come dimostrano le risorse impiegate dalle maggiori potenze mondiali per lo studio delle conseguenze geopolitiche del cambiamento climatico.

Articolo originariamente pubblicato in inglese su The Guardian
(26/02/2014)

Possibile disgregazione e scissione dell'Ucraina



La parte orientale e meridionale dell'Ucraina è di lingua e tradizione russa, in particolare la repubblica autonoma della Crimea, dove staziona la flotta russa e dove la Russia ha preso il controllo di due aeroporti e del parlamento. La parte occidentale invece ha una storia diversa, essendo stata per molto tempo una componente dell'Impero Austro-Ungarico. La parte centrale è mista. Questa situazione potrebbe rivelarsi esplosiva, considerando che chi controlla l'Ucraina controlla anche i gasdotti che riforniscono l'Europa.
 


Dieci classici letterari moderni consigliati dagli scrittori di oggi

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Inutile girarci intorno, le classifiche sono fondamentalmente un’oscenità. La letteratura è il regno dell’ineffabile e del non quantificabile. Ma in questo caso al Time hanno fatto le cose per bene. Sono andati da tutti i grandi scrittori dei nostri tempi - pur con l’ombelico fra New York, Los Angeles e quello che c’è in mezzo - da Franzen a MailerWallaceChabonWolfeLethem,King e via dicendo, per un totale di 125 scrittori di riferimento. Hanno chiesto la loro top ten dei più grandi libri di sempre, mettendo dentro tutto: narrativa, saggistica, poesia, antica, moderna.
Combinando i risultati, ecco di seguito la classifica dei dieci migliori libri di sempre (dalla 1 alla 10) secondo i maggiori scrittori di oggi. Che ne pensate? Quanti ne avete letti?
Cime tempestose di Emily Bronte
Anna Karenina di Lev Tolstoj
Madame Bovary di Gustave Flaubert
Moby Dick di Herman Melville
I fratelli Karamazov di Fedor Dostojewskij
Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde
I Buddenbrook di Thomas Mann
Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust
Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez
L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera

Destra e sinistra: uno schema americano



Paradossalmente in America il colore blu indica la sinistra, essendo il colore del Partito Democratico ed il colore rosso indica la destra, essendo il colore del Partito Repubblicano. Il giallo indica invece il Partito Libertario, che si colloca al centro dello schieramento. Nella tabella qui sopra sono riassunti i valori dei singoli partiti.

Giacche a un bottone: nuovo trend per la moda uomo?



Dopo circa 6 anni di dominio incontrastato delle giacche a due bottoni incominciano a vedersi le proposte per un nuovo trend: giacche da uomo a un bottone solo sul modello dell'abbigliamento inglese per la caccia.

The subtleties of traditional English tailoring have become somewhat diluted with the influx of made-to-measure offerings and the practice of outsourcing tailoring work.
As a reminder, if not for posterity, we review what defines the traditional English cut, keeping in mind that the inspiration for English tailoring has primarily been the military uniform, and riding and hunting wear.
According to The Suit by Nicholas Antongiavanni, the British cut can be broken down into four categories, with the Hacking and Military being the chief modes of Savile Row:
1. Hacking – an English term for horse riding. Clean and close-fitting like the Continental style but longer, more broad shouldered, and wider overall. More angular with a flared skirt and deep side vents (although true hacking jackets have a center vent). The purist Hacking is said to be made by Huntsman and Sons.
2. Military – Clean and close fitting, with broader shoulders and overall wider than the Continental style. Stiffer–said in order to hold up military metals, and more rounded than angular. The quintessential Military is said to be made by Dege & Skinner, although some might say Gieves & Hawkes.
3. Drape – Softer construction. Coats are cut with an inch of superfluous cloth in the chest and over the shoulder blades.  This gives them fullness in the chest while maintaining a slim waist and hips. The drape cut has been invented by Frederick Scholte and is the signature style of Anderson & Sheppard.
4. Conduit (aka Edwardian) Spare and lean with narrow lapels, drainpipe trousers and modern detailing. Popular during the Great War period, the Conduit enjoyed a revival among the English after the Second World War and has been immortalized by Sean Connery in the movie The Avengers. This cut favors the slender and should not be worn by the larger gentleman.
Characteristics of Classic English Tailoring (based on the Hacking and Military English Styles):

* Shaped shoulder, usually padded. Line from side of neck to tip of shoulder is straight (not concave).
* Shoulder seam area is even and does not angle towards nor away from the body.
* Moderate amount of chest area is revealed.
* Chest pocket is cut straight, with lower pockets cut diagonally as often as they are cut straight.
* Lapel buttonhole is approximately 1 1/8″ wide.
* Keyhole buttonholes on working front buttons.
* Natural or high button stance.
* Lapel is medium-width, with a fairly high notch placement, typically with a fish mouth notch.
* Arm holes are placed high with the house style varying in terms of whether the armscye cut is large or small.
* Waist suppression/ pinch is more defined than gradual.
* Jacket length covers the seat.
* Skirt has a slight flair.
* Double-vents
* Trousers width matches jacket width.
* Trouser turn-ups are prevalent but sans-cuffs more common.






Telegram, il vero anti-WhatsApp è un'app a prova di spia

Telegram, il vero anti-WhatsApp è un'app a prova di spia

Sviluppata da due fratelli russi, Telegram coniuga la velocità di WhatsApp, alle funzionalità di Snapchat e a un nuovo protocollo crittografico a prova di hacker

di Fabio Deotto
Questo sabato gli occhi di tutto il mondo erano concentrati suWhatsapp. Da poco Jan Koum aveva venduto la sua delicata creatura a quel gigante aspiratutto di Facebook, e già l’app registrava il primo, sonoro tonfo: in tutto il mondo migliaia di utenti non riuscivano più a mitragliarsi di faccine attraverso i propri smartphone, la rete si riempiva di sfottò e Jan Koum, seduto sulla sua montagna di dollari, soffocava maledizioni.
Mentre accadeva tutto ciò, in Russia c’era chi si sfregava le mani. Dopo il blackout di Whatsapp, nel giro di poche ore, quasi cinque milioni di utenti scaricavano un’app di messaggistica ai più sconosciuta, Telegram , facendola schizzare in cima alle classifiche degli app store.
Questa cosa ha sorpreso molti addetti ai lavori. Insomma, è comprensibile che l’acquisizione da parte di Facebook prima, e la caduta del servizio dopo, abbiano indotto diversi utenti a guardarsi intorno. Ma perché così tanti si sono rivolti a un’applicazione semi-sconosciuta, quando esistono fior di alternative a Whatsapp che possono già vantare un nutrito parco utenti?
Le ragioni sono molteplici. La prima, e più importante, è che Telegram si presenta come un’app studiata appositamente per garantire la segretezza delle conversazioni. In origine, infatti, Telegram doveva essere un banco di prova per il protocollo open-source MTProto , sviluppato dai fratelli russi Durov, già ideatori del social network Vkontakte.
Per molti versi, l’app è simile a Whatsapp, consente infatti di condividere messaggi, foto, video, posizioni geografiche etc., ma introduce una serie di funzionalità volte a sedurre gli utenti che hanno più a cuore la propria privacy. La funzionalità Secret Chat, ad esempio, permette di scambiare messaggi criptati con un altro contatto, decidendo un tempo limite entro cui la comunicazione venga eliminata dai server. Per assicurarsi che la codifica sia sicura, l’utente può sfruttare un’immagine creata per funzionare da chiave crittografica. Insomma, una sorta di via di mezzo tra WhatsappSnapchat e un’app di messaggistica per maniaci della segretezza.
Un altro elemento di novità è che Telegram consente a sviluppatori terzi di creare un proprio client Telegram. Del resto i fratelli Durov ci tengono a rendere chiara una cosa: Telegram non nasce per essere un’app da 19 miliardi di dollari, quanto per essere un sistema che consenta agli utenti dicomunicare velocementegratuitamente e in totale sicurezza, senza bisogno di pubblicità o di acquisizioni di peso.
Cinque milioni di download in poche ore sono un buon punto di partenza, ora Telegram deve però trovare il modo di coinvolgere altri utenti e, soprattutto, di trattenerli sulla piattaforma, se vuole sopravvivere. Un punto a suo favore ce l’ha già: si è fatta la nomea di app sicura, una cosa non da poco in un mondo ancora sconvolto dagli scandali NSA.
E pensare che Facebook ha acquistato Whatsapp proprio per non dover subire la concorrenza di un’applicazione priva di pubblicità e poco interessata ai dati sensibili dei propri utenti. Se i fratelli Durov sono davvero intenzionati a mantenere salda la propria integrità, Mark Zuckerberg ha un’altra, enorme, gatta da pelare.