martedì 11 marzo 2014

Le donne elette nei parlamenti nazionali



Si va dal primo posto del Ruanda (63,8% di donne in Parlamento) all'ultimo del Qatar, dove le quote rosa sono un miraggio: 0 donne su 35 seggi dell'assemblea. In mezzo ci sono il Regno Unito (22,6%) e gli Stati Uniti (18,3%). E anche l'Italia, che con il suo 31,4% non sembra sfigurare troppo: meno della Germania (36,5%) ma meglio della Francia (26,2%).

Gatto socievole o aggressivo? Dipende dal colore del pelo!



Maculata, striata, uniforme, nera, rossiccia, crema. La pelliccia dei gatti può assumere diverse forme e colori rendendo unici questi splendidi animali. Ma lo sapevate che il carattere di un gatto dipende anche dal colore e dalla forma del suo pelo?
Alcuni studi hanno dimostrato che i gatti neri si adattano alla vita domestica più facilmente rispetto ai gatti dal pelo striato. Questo dipende da un abbondanza di “geni della cooperazione” che ha reso i felini dal pelo nero più facili da addomesticare.
Altri gatti molto socievoli sono quelli dal pelo rossiccio o color crema. Secondo alcuni ricercatori inglesi sono molto legati ai loro proprietari e tendono a fare più capricci quando vengono affidati agli sconosciuti, ad esempio, durante le vacanze.
I gatti in generale meno socievoli sono quelli tigrati che hanno una personalità più indipendente rispetto ai mici di altri colori.
Il colore del pelo influenza quindi la socievolezza o l’aggressività del gatto e il temperamento caratteriale che ne deriva si ripercuote anche nelle relazioni sociali. Nelle colonie di gatti randagi i ricercatori hanno riscontrato  che i gatti più aggressivi hanno spesso delle dispute con gli altri gatti e dedicano poco tempo all’accoppiamento mentre quelli più tranquilli aspettano la loro occasione per accoppiarsi riuscendo a trasmettere più facilmente i loro geni.
Adesso sapete perché in una colonia felina non troverete quasi mai un colore di pelo dominante!
Come abbiamo visto, forme e colori del pelo possono incidere sul carattere del gatto ma, ovviamente, ci sono numerose eccezioni.
Qual è il colore del vostro gatto? E’ socievole o aggressivo? 

La fiamma di Atar. Capitolo 9. And now my watch begins.



Quando Elisabetta uscì dalla biblioteca, Luca Bosco ritrovò il suo equilibrio interiore, quello che, come si è detto, lo rendeva, per indole, simile a un gatto che vagava nelle notti di luna piena.
Certo quell'affascinante studentessa rappresentava un problema notevole,
Sa troppe cose ed è disposta a tutto per accedere alla Flamma Ataris.
Ma su quel punto, gli Iniziati agli Arcani Supremi, che controllavano la biblioteca del dipartimento di storia delle religioni, erano stati chiarissimi:  la Flamma Ataris  ufficialmente non si trovava lì e di conseguenza nessuno poteva avervi accesso, tranne gli adepti della setta.
Io non sono un Iniziato, ma sono un Guardiano. E la mia guardia comincia adesso. 
"And now my Watch begin", avrebbero detto i guardiani della Barriera dei romanzi di George Martin.
La conoscenza che Luca aveva sul contenuto della Fiamma di Atar era piuttosto limitata.
Dicono che si tratti di una interpretazione zurvanista del mazdeismo, e quindi una dottrina pre-manichea.


A tal proposito l'enciclopedia Treccani così recitava:
"Il principale mito dello z. è raccontato dall’armeno Eznik di Kolb: Zurvān compie sacrifici per avere una progenie; decide in seguito di consegnare la regalità del mondo al primogenito, e la consegna ad Ahriman, che nasce primo di due gemelli, stabilendo nel contempo che la dominazione arimanica si estenderà per una durata delimitata, alla fine della quale trionferà il gemello buono, Hormizd (cioè Ōhrmazd, Ahura Mazdā).
Senza dubbio si può ravvisare nello z. una corrente pessimistica, con forti analogie con tematiche di tipo gnostico. Non per nulla il manicheismo, in Iran, farà di Zurvān, e non di Ōhrmazd, la sua divinità suprema. Una comparazione fra Zurvān e Ōhrmazd all’interno del mazdeismo pone in luce, in ogni caso, la non sovrapponibilità e la non equivalenza di queste figure divine ritenute spesso in concorrenza: Ōhrmazd resta sempre il principio luminoso, attivo, combattente contro le tenebre arimaniche, mentre il Tempo Limitato (Zurvān i kanäragōmand) non è che lo strumento che porterà alla vittoria la luce, e il Tempo Illimitato (Zurvān ī akanārag) altro non è se non la condizione iniziale di quiete perfetta da cui il moto ebbe origine."


In ogni caso si trattava di una versione "gnostica" della religione. 
A Luca venne in mente il simbolo dello gnosticismo: la croce celtica. Ripensò al significato di quel simbolo e della parola che stava ad indicare. Il cerchio era il simbolo solare, quello dell'eterno ritorno. La croce non era solo il simbolo cristiano: compariva in tutte le religioni, quasi sempre in connessione al simbolo solare, indicandone la propagazione della luce e della fiamma.



Lo gnosticismo era la terza fase delle religioni. La prima fase era il profetismo. Ma quando la profezia non si avverava, allora scattava la seconda fase, ossia il pensiero apocalittico, ma quando anche l'apocalisse non si avverava, allora non restava che la gnosi.
Ma qual era il significato dello gnosticismo?

Lo gnosticismo è un movimento filosofico-religioso, molto articolato, la cui massima diffusione fu tra il II e il IV secolo dell'era cristiana. Il termine gnosticismo deriva dalla parola greca gnósis (γνῶσις), «conoscenza». Una definizione piuttosto parziale del movimento, basata sull'etimologia della parola, può essere: "dottrina della salvezza tramite la conoscenza". Mentre il cristianesimo tradizionale (così come definito dai concili ecumenici) sostiene che l'anima raggiunge la salvezza dalla dannazione eterna per grazia di Dio principalmente mediante la fede, per lo gnosticismo invece la salvezza dell'anima dipende da una forma di conoscenza superiore e illuminata (gnosi) dell'uomo, del mondo e dell'universo, frutto del vissuto personale e di un percorso di ricerca della Verità. Gli gnostici dunque erano "persone che sapevano", e la loro conoscenza li costituiva in una classe di esseri superiori, il cui status presente e futuro era sostanzialmente diverso da quello di coloro che, per qualsiasi ragione, non sapevano.
Lo gnosticismo descrive un insieme di antiche religioni il cui principio base era l'insegnamento attraverso il quale si può fuggire dal mondo materiale, creato dal Demiurgo, per abbracciare il mondo spirituale. Gli ideali gnostici furono influenzati da molte delle antiche religioni che predicavano tale gnosi (variamente interpretata come conoscenza, illuminazione, salvezza, emancipazione o unicità con Dio), che, a seconda del culto in questione, poteva essere raggiunta praticando la filantropia, tale da raggiungere la povertà personale, l'astinenza sessuale (per quanto possibile per gli ascoltatori, completamente per iniziati) e una diligente ricerca della saggezza aiutando gli altri.
Nello gnosticismo il mondo del Demiurgo è rappresentato dal mondo inferiore, che è associato con la materia, la carne, il tempo e più particolarmente con un mondo imperfetto, effimero. Il mondo di Dio è rappresentato dal mondo superiore ed è associato all'anima e alla perfezione. Il mondo di Dio è eterno e non rientra nei limiti della fisica. È impalpabile, e il tempo non esiste. Per arrivare a Dio, lo gnostico deve raggiungere la conoscenza, che mescola filosofiametafisica, curiosità, cultura, saperi e i segreti della storia e dell'universo[3][4].
Per quanto insoddisfacente possa sembrare questa definizione, l'oscurità, la molteplicità e la confusione dei sistemi gnostici permettono difficilmente di formularne un'altra.
Lo gnosticismo è principalmente definito in un contesto cristiano[5][6]. In passato, alcuni studiosi ritennero che lo gnosticismo aveva predatato il cristianesimo e incluso credenze religiose pre-cristiane e pratiche spirituali comuni al cristianesimo delle origini, al neoplatonismo, al giudaismo ellenistico, alle religioni misteriche greco-romane e allo zoroastrismo (specialmente per ciò che riguarda lo zervanismo). La discussione sullo gnosticismo è cambiata radicalmente con la scoperta dei Codici di Nag Hammadi, i quali condussero gli studiosi ad una revisione delle precedenti ipotesi.

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Quella era sostanzialmente la fede di Luca Bosco e il motivo per cui aveva accettato di proteggere il documento che maggiormente si faceva veicolo di essa: la Flamma Ataris, la fiamma di Atar.

Tatari di Crimea, l'elemento islamico tra Russia e Ucraina



Nella Crimea contesa da Mosca e Kiev è in corso anche la partita musulmana, capace di coinvolgere più giocatori e di riaccendere l'antica rivalità fra Russia e Turchia.

«Per noi è di estrema importanza difendere la presenza dei nostri fratelli di sangue in Crimea», ha dichiarato il 6 marzo il ministro degli Esteri anatolico Ahmet Davutoğlu, «i tatari sono gli abitanti originari della penisola, i padroni di quelle terre. In Ucraina hanno vissuto come cittadini uguali agli altri, in pace, e la Turchia farà fronte comune per i loro diritti».

Che i tatari, musulmani turcofoni originari della Crimea, abbiano vissuto in pace e come uguali durante la presidenza Yanukovich e quelle precedenti è una tesi discutibile. È invece indiscutibile il fatto che la maggior parte di loro non faccia i salti di gioia alla prospettiva di un’annessione alla Madre Russia.

«Il referendum non è legale, nessuno in Crimea dovrebbe andare a votare il 16 marzo, chiedo a tutti di boicottare le urne», ha tuonato Refat Chubarov, presidente del Mejlis, l’organo di rappresentanza ufficiale dei tatari di Crimea. Più aspro Mustafa Dzhemilev, ex presidente dell'organo e ora deputato a Kiev.

«Se dovremo usare la violenza per contrastare gli invasori, lo faremo. Le unità dei tatari di Crimea sono in fase di mobilitazione e pronte per la guerra». Sfumature diverse di un odio comune, che rispecchiano le paure di un’intera comunità.

Musulmani nel Mar Nero

I tatari sono un popolo di origini e lingua turca, arrivato in Crimea nel XV secolo insieme a Gengis Khan e rimasto fino a quando Stalin ne ordinò la deportazione in Asia Centrale (1944). Dal 1967 è iniziato il controesodo ma è solo con la caduta dell’Urss che il flusso dei rimpatriati è diventato significativo.

Oggi, secondo varie stime, i tatari costituiscono tra il 12 e il 16% della popolazione della Crimea (sono circa 300 mila), ma non si sono inseriti benissimo: i 3/4 di loro vivono nelle aree rurali, spesso in abitazioni semi abusive prive di allacciamenti a gas e acqua. Hanno istituito un Mejlis per rappresentarli ma finora sono riusciti a ottenere solo 15 scuole (su 576 presenti nella regione) e nella maggior parte dei casi costruiscono moschee con finanziamenti stranieri.

Nelle città si vedono poco e tengono un basso profilo. Per sopravvivere in uno Stato che non brillava per la tutela dei diritti individuali o collettivi, hanno alternato le rivendicazioni ai compromessi attraversando momenti difficili nel 2010 - con il ritorno alla presidenza di Yanukovych - ma riuscendo comunque a difendersi dalle offensive dei più sciovinisti tra i russi di Crimea attraverso il dialogo con Kiev.

A febbraio 2012 la situazione si è aggravata di nuovo, con una dura contestazione nei confronti dei rappresentanti del Mejlis, criticati da buona parte della comunità tatara per la loro inefficienza e passività. A cavalcare il malcontento una strana alleanza costituitasi in seno alla presidenza ucraina in un organo definito Consiglio del popolo tataro di Crimea. A farne parte organizzazioni musulmane radicali, ong varie (anche finanziate dall’Onu) e il Milly Firka, unico gruppo tataro filo-russo: nella sostanza un fronte filo-governativo pronto a raccogliere gli alleati più discutibili pur di mettere in crisi l’establishment tataro, tradizionalmente sostenuto dal governo turco. Lo stesso Anatoly Mogilev, presidente del consiglio della Crimea nominato da Yanukovich, era già conosciuto per i suoi sentimenti anti-tatari, la sua inclinazione a sfruttare i reparti speciali berkut per attaccare manifestanti pacifici e un articolo del 2008 in cui faceva apprezzamenti sulle deportazioni staliniane.

Cosacchi e Forze speciali russe potrebbero riuscire a compattare la comunità,mentre le autorità del Mejlis si candidano a guidare il fronte anti-Cremlino ricorrendo al sostegno dei loro storici alleati: i turchi. Il deputato tataro Mustafa Dzhemilev, infatti, ha rassicurato la sua gente che Ankara interverrà se la crisi dovesse peggiorare.

Per ora le iniziative turche sembrano ridursi a proclami di solidarietà e tiepidi tentativi di trovare una soluzione diplomatica. Come quello del presidente del parlamento turco Cemil Cicek: «La Crimea è nel nostro cuore e parte del nostro spirito. I nostri fratelli hanno sofferto più di chiunque altro e noi siamo con loro». O come la solidarietà espressa dal ministro degli Esteri Davutoglu: «Il futuro dei nostri parenti, i tatari di Crimea, è la priorità per noi. La pace è essenziale per la Turchia e faremo tutto ciò che è necessario per questo scopo». Infine, il premier Erdoğan: «Ho parlato al telefono con Putin assicurandomi che protegga i diritti dei tatari. Finora non abbiamo lasciato soli i nostri fratelli e non lo faremo nel futuro».

La contrapposizione frontale con i russi non piace a nessuno. Nemmeno al presidente del Mejlis Chubarov, che chiede di boicottare il referendum ma suggerisce anche di formare una commissione «composta da membri di tutti i partiti» per studiare la situazione della Crimea e trovare una soluzione pacifica. Qualcuno ha insinuato che il leader tataro abbia già incontrato i rappresentanti del nuovo parlamento filo-russo della Crimea (lui smentisce); sicuramente li hanno incontrati gli esponenti del Millyi Firka, il movimento tataro sostenuto da Mosca, che si è dichiarato favorevole al nuovo status quo.

Musulmani di tutte le Russie

Chubarov smentisce anche di aver incontrato il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, ma non può negare che l’ex guerrigliero ora alleato di Putin abbia offerto il suo aiuto umanitario alla Crimea. Kadyrov sostiene che attingerà al fondo caritatevole intitolato al padre per sostenere gli «amici tatari», ma che questi ultimi «devono mantenere la calma e non farsi trascinare in mosse anti-Mosca». Il presidente sostiene di voler assistere anche la popolazione «russa, cosacca e cecena» di Crimea: «dobbiamo difendere la nostra gente. E a questo scopo possiamo diventare operatori umanitari, peacekeeper, soldati».

Per calmare le acque tra musulmani e Mosca è arrivato anche Rustam Minnikhanov, presidente della repubblica russa del Tatarstan, volato in Crimea proprio mentre veniva annunciato il referendum per l’annessione. Minnikhanov è arrivato a Simferopoli per firmare un accordo di cooperazione con il nuovo premier de facto della Crimea Sergey Aksyonov, gelando le aspettative dei cugini tatari e limitandosi a blandirli con promesse di scambi culturali in nome di «religione, lingua e cultura condivise». Siamo uguali, insomma, ma se volete una mano dovete stare dalla parte giusta.

Sarà compito del nuovo capo dei servizi di sicurezza della Crimea, Petr Zima, far capire loro quale sarà la parte giusta. Questi ha già promesso guerra agli islamici con simpatie radicali. Il suo obiettivo, dice, non sono i tatari del Mejlis, ma i fondamentalisti di Hizb ut Tahrir, «un’organizzazione terrorista» che va colpita con forza.

Il premier Aksenov ha immediatamente allargato lo spettro dei nemici: «Useremo la forza contro coloro che non vorranno collaborare con le autorità». La risposta di Hizb ut Tahrir, che nella penisola fa in realtà ben pochi proseliti e che finora non ha mai inneggiato alla violenza, non si è fatta attendere. Il suo leader Fazil Amazayev ha dichiarato all’Independent che a ogni attacco corrisponderà un contrattacco e ha ricordato che Zima, ex capo della sicurezza a Sebastopoli, è noto per la sua propensione a ordinare raid "facili" contro i presunti estremisti. «Noi e l’establishment tataro», dice Amazayev, «abbiamo avuto parecchie controversie nel passato, ma adesso siamo uniti da un nemico comune. Sappiamo come sopravvivere, lo abbiamo fatto in Siria, Egitto, Libia e Tunisia».

Più soli resteranno i tatari, più forte i venti del fondamentalismo spazzeranno il Mar Nero.

[Carta di Laura Canali tratta da Limes 2/14 "Grandi giochi nel Caucaso"]

Boschi incantati 2



Elegantissima: col suo look odierno, Maria Elena Boschi conferma che la camicia bianca è un must imprescindibile!











Lo stress si eredita prima ancora di venire al mondo



We intuitively understand, and scientific studies confirm, that if a woman experiences stress during her pregnancy, it can affect the health of her baby. But what about stress that a woman experiences before getting pregnant — perhaps long before?

It may seem unlikely that the effects of such stress could be directly transmitted to the child. After all, stress experienced before pregnancy is not part of a mother’s DNA, nor does it overlap with the nine months of fetal development.
Nonetheless, it is undeniable that stress experienced during a person’s lifetime is often correlated with stress-related problems in that person’s offspring — and even in the offspring’s offspring. Perhaps the best-studied example is that of the children and grandchildren of Holocaust survivors. Research shows that survivors’ children have greater-than-average chances of having stress-related psychiatric illnesses like post-traumatic stress disorder, even without being exposed to higher levels of stress in their own lives.
Similar correlations are found in other populations. Studies suggest that genocides in Rwanda, Nigeria, Cambodia, Armenia and the former Yugoslavia have brought about distinct psychopathological symptoms in the offspring of survivors.
What explains this pattern? Does trauma lead to suboptimal parenting, which leads to abnormal behavior in children, which later affects their own parenting style? Or can you biologically inherit the effects of your parents’ stress, after all?

It may be the latter. In a study that I, together with my colleagues Hiba Zaidan and Micah Leshem, recently published in the journal Biological Psychiatry, we found that a relatively mild form of stress in female rats, before pregnancy, affected their offspring in a way that appeared to be unrelated to parental care.

Cosa spaventa i gatti?

gatto spaventato coda

Quali sono le cose che inducono il nostro amico felino a rizzare il pelo, soprattutto nella coda, ed inarcare la schiena? Questa è infatti la reazione del gatto a qualcosa che lo spaventa; un sistema particolare che adotta per sembrare più grande e più temibile agli occhi del potenziale nemico.
Questo nemico può essere identificato in un cane o in un rumore improvviso. Una caratteristica fondamentale nei gatti è che vivono in costante stato di allerta, sempre vigili verso possibili nuovi pericoli. Forse questa loro caratteristica è data dalla loro natura felina, per la quale devono andare a caccia di cibo e vivere in costante attenzione verso potenziali predatori.
gatto terrorizzato
Un’altra particolare caratteristica è il loro vivere nel presente. Avvertono la paura nel momento in cui si presenta il pericolo e i loro timori sono tutti causati da paure reali. Al contrario dell’uomo infatti il gatto non avverte paura per cose immaginarie come fantasmi, i presagi e le maledizioni. Sono molto più razionalisti di noi. Proprio questa caratteristica gli permette di passare dalla paura alla calma in un attimo. Passato il momento di scongiurato pericolo torna alla sua attività preferita: il divano.
Come abbiamo già evidenziato solo le cose reali sono in grado di spaventarlo: le cose che non conoscono e di cui temono la reazione. Il gatto può andare d’accordo anche con il suo “nemico” per eccellenza: il cane.
Se adottiamo un gattino ed il cane si trova già nel nostro appartamento il nuovo arrivato imparerà a scoprire pian piano il comportamento del cane e arriverà a non temere più le sue reazioni. La stessa sicurezza e tranquillità che mostra verso il cane di casa si riflette anche nell’ambiente che lo circonda.
Il gatto ama vivere in ambienti che oramai conosce, dei quali è in grado di prevenire le insidie. Per questo motivo sono per carattere poco inclini ai cambiamenti.

Monete rare: tutte le lire che i collezionisti cercano





Guardate nei vostri cassetti di casa, potreste avere una fortuna senza saperlo.
Esistono delle monete rare che sono oggetto di ricerca da parte dei collezionisti: si tratta delle  monete “proof” o di prova, rarità che gli esperti del settore si contendono alle aste.
In particolare, le monete “proof” sono monete “a fondo specchio” poiché quando si tratta di monete prodotte per prova, spesso non vengono stampate in tutti i particolari.
  • 500 lire in argento di prova del 1957: la cosiddetta “3 caravelle” poiché  su un lato vi erano riprodotte le caravelle di Cristoforo Colombo. La moneta tradizionale in ottimo stato vale all’incirca 100 euro. La versione di prova, caratterizzata dalla stampa con le bandiere che sventolano a sinistra, vale fino a 10 o 15mila euro per una “fior di conio”.  Le versioni di prova della 500 lire con le tre caravelle furono stampate in appena 1004 esemplari.
  • 100 lire “Minerva prova” sono rare e possono valere anche 500 euro.
  • 50 lire “vulcano” possono valere 50-60 euro.
  • 10 lire di prova possono valere molte volte in più rispetto al valore originario.
  • 200 lire proof valgono poco anche se molto interessanti agli occhi dei collezionisti.






Boschi incantati



Lo charme di Maria Elena Boschi è indiscutibile.





Riforme, Boschi replica a Berlusconi: "Fa campagna elettorale"

















Ed ecco Maria Elena Boschi in versione "signora in rosso" che esce letteralmente "fuori di seno"



Meraviglioso outfit di Valentina Fradegrada




Ecco come Valentina Fradegrada www.coopstyle.com ha interpretato il mood Rockmantic per Patrizia Pepe... Ti piace? Segui la Fashion Story http://bit.ly/1fRwXZv

I 5 posti più caldi della Terra

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Immaginereste che ci sono posti abitati del nostro pianeta, con temperature che sfiorano o superano i 70° gradi ? 
Anche se sembra difficile immaginarlo, il globo terrestre ha una grande varietà di condizioni climatiche: dal tiepido e mite clima mediterraneo, ai climi estremi dell'Antartide, passando per i climi desertici.
E' interessante notare che il posto più caldo del mondo non è lo stesso ogni anno. Nel 2003, per esempio, il satellite Aqua ha misurato una temperatura record di 69,3°C nei calanchi del Queensland, in Australia, mentre nel 2008, il primato è andato al bacino di Turpan in Cina, dove le temperature hanno raggiunto 66,8 °C. 
Vediamo insieme quali sono i 5 posti più caldi della terra, luoghi dove sicuramente è molto difficile sopravvivere.

1. Deserto di Lut (Iran)

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Il deserto di Lut è il più grande deserto Iraniano e si trova ai confini tra Iran e Afghanistan. È una delle zone più aride della Terra.
Nel 2005 è stata registrata la temperatura più calda mai registrata prima d'ora sul nostro pianeta pari a 70,7°C. Tale incredibile dato termico, fu ottenuto con l'aiuto di innovativi sistemi satellitari, mai utilizzati prima di quel momento.Nel passato le temperature utilizzate dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale, venivano rilevate  utilizzando le classiche stazioni meteorologiche ubicate sul posto.
Pensate che nel deserto di Lut, la temperatura della superficie del terreno è così alta, da non permettere neppure ai batteri di sopravvivere. In parole semplici, è priva di qualsiasi forma di vita. Non a caso viene anche chiamata "zona abiotica".
Massima temperatura registrata: 70,7°C

2. Queensland (Australia)

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Il Queensland è uno stato dell'Australia e si trova alla parte nord-orientale del continente. Secondo i risultati di una ricerca (pubblicata nel Bollettino della American Meteorological Society) effettuata da molti scienziati dell'Università del Montana, i quali hanno analizzato mediante registrazioni satellitari moltissime temperature superficiali terrestri, a Queensland spetta la medaglia d'argento come posto più caldo del pianeta.
Nel 2003, infatti, è stata registrata una temperatura record di quasi 69°C, la seconda mai misurata sul nostro pianeta
Massima temperatura registrata: 68,9 °C

3. Turpan (Cina)

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Turpan si trova nella zona nord orientale della Cina ed è situato in una depressione di circa 154 metri sotto il livello del mare. La famosa "depressione di Turpan", infatti, è la più bassa del mondo subito dopo il Mar Morto. 
La zona di Turpan, è stata molto rinomata e famosa nel passato, perchè costituiva una tappa obbligatoria lungo il tratto settentrionale della famosa Via della Seta. Questa zona è anche la più calda di tutta la Cina. 
Pensate che nel 2008 è stata registrata, con l'aiuto di impianti sattelitari, una temperatura altissima di 66,8 °C, la terza mai registrata sulla terra.

4. El Azizia (Libia)

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El Azizia è una città della Libia, situata nel nord-ovest del paese, 40 km a sud-ovest di Tripoli. In questa zona, il 13 settembre 1922, un gruppo di persone che lavoravano presso l'Istituto Meteorologico Mondiale, registrarono, tramite una stazione meteorologica al suolo, una temperatura record per allora, pari a 58°C, record appartenuto a questa città per 83 anni.
Qua, nonostante le sue temperature molto calde, che possono scendere bruscamente anche di 20 gradi in poco tempo,  vivono cira 300.000 persone. Sicuramente El Azizia è una città molto desolata, arida e,inospitale.
Massima temperatura registrata: 58° C

5. Valle della morte, California - Nevada (USA)

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La Valle della morte si trova negli Stati Uniti e fa parte del Parco Nazionale Americano ( vasto oltre 13.000 km²) , la maggior parte del quale si trova nello stato della California e una piccola parte nello stato del Nevada. 
E' una zona desertica e uno dei luoghi più inospitali di tutto il pianeta. Costituisce il punto più basso (al centro della valle si trova il punto più basso del Nord America)e più caldo di tutti gli Stati Uniti (nei mesi estivi la temperatura massima oscilla tra i 46°C e i 50°C).
La temperatura più alta registrata in zona, si è verificata  il 16 settembre del 1913, con 56,7 °C.
 Nonostante esso sia uno dei posti più torridi ed inospitali della terra, ogni anno accoglie migliaia di turisti da tutto il mondo, venuti ad ammirare i suoi affascinanti e incantevoli scenari naturalistici, unici in tutto il mondo.
Massima temperatura registrata: 56,7 °C

Vivere in Australia: 5 miti da sfatare.

Vivere in Australia, 5 miti da sfatare

L'inglese non si impara sul posto, il working holiday visa non garantisce un lavoro stabile, nemmeno dopo il rinnovo. Entrare da turisti non conviene, e non tutti fanno fortuna

di Claudia Astarita (Panorama)

E' davvero così facile trasferirsi in Australia, trovare in poco tempo un'ottima occupazione, cambiare vita, trovare nuovi stimoli in un mercato del lavoro dinamico e fare fortuna? In più di un'occasione abbiamo descritto questa nazione così lontana dall'Italia come un luogo quasi perfetto sotto tantissimi punti di vista: qualità del lavoro, facilità di integrazione, stimoli e opportunità professionali, salari adeguati all'impegno e alle competenze richieste e via dicendo.  
Tutto quello che abbiamo scritto fino ad oggi sull'Australia è certamente vero. Tuttavia, sarebbe il caso di puntualizzare che la maggior parte delle ragioni per cui questa nazione-continente così lontana e sconosciuta tende ad essere identificata con l'El Dorado del Terzo Millennnio dipende dal fatto che, in questa particolare fase storica, l'Italia sembra avere ben poco da offrire, soprattutto ai giovani.
Detto questo, è di fondamentale importanza evitare di arrivare in Australia con una percezione sbagliata del Paese e delle sue opportunità. Per riuscirci, bisognerebbe evitare di farsi trarre in inganno da cinque falsi miti.
1) Vado in Australia, l'inglese lo imparerò lì. No, l'inglese bisogna conoscerlo prima di arrivare. Poi lo si può perfezionare, ma la base di partenza deve già essere più che discreta altrimenti non si può pensare di poter trovare facilmente e rapidamente lavoro, qualificato o meno che sia.
2) Sono giovane, mi conviene entrare con il Working Holiday Visa , poi quando sarò sul posto cercherò di ottenere un visto più stabile. No, o meglio, non necessariamente. Il WHV è stato pensato apposta per offrire a chi lo riceve la possibilità di fare un'esperienza temporanea, tant'è che non permette nemmeno di essere impiegati dallo stesso datore di lavoro per più di sei mesi. Questa condizione ha due limiti: la maggiore facilità di essere impiegati per lavori poco qualificati anziché il contrario, e la difficoltà temporale di farsi conoscere, e apprezzare, al punto da indurre il datore di lavoro a sponsorizzare un altro tipo di visto. Attenzione però, perché esistono anche le eccezioni. E non sono neppure così infrequenti. 
3) Mal che vada, rinnoverò il WHV per un altro anno sperando di essere più fortunato. Per ottenere il rinnovo è necessario riuscire a dimostrare di aver lavorato per almeno 88 giorni nel cosiddetto "outback", quindi in aziende agricole, miniere, nel settore delle costruzioni o in quello ittico. pesca. Lavorare in questi luoghi non è sempre così facile, ne' necessariamente ben pagato. Anzi, la crescita esponenziale del numero di ragazzi che entra con WHV ha portato anche alla diffusione di tipologie di impiego sempre più precarie e difficilmente controllabili dalle autorità centrali. Nel biennio 2011-2012 solo il 20% dei giovani italiani entrati con il WHV è riuscito a rinnovarlo. 1.775 su 9.600.
4) Intanto entro con il visto turistico, poi si vedrà. Tanti dei giovani che, per motivi anagrafici, non possono richiedere unWHV la pensano così. Tuttavia, col visto turistico non si piò lavorare. Si può però cercare lavoro e magari anche organizzare qualche colloquio, ma bisogna sperare che l'eventuale datore di lavoro interessato sia poi anche disposto a sponsorizzare un visto. Cosa non così automatica. Ecco perché, piuttosto che partire all'avventura, conviene cercare di ottenere uno "skilled visa ".
5) Tanti italiani hanno fatto fortuna in Australia. Ci riuscirò anche io. Forse, ma è meglio non esagerare con le aspettative. Molti italiani finiscono col trovare lavoro solo nel settore dell'hospitality, ovvero in bar, ristoranti e piccoli esercizi a conduzione familiare. Sono precari, non sempre in regola, e a volte anche pagati poco.
Eppure, alla fine sono tanti quelli che ce la fanno. Superano la concorrenza locale, ottengono la sponsorizzazione per un visto e, tassello dopo tassello, e non senza un pizzico di fortuna, iniziano a costruire la loro vita e la loro carriera all'altro capo del mondo. E solo quando ce l'hanno fatta si guardano indietro, orgogliosi di essere riusciti a superare tanti ostacoli e momenti di difficoltà.