lunedì 16 marzo 2015

Esgot. Capitolo 47. Voce di uno che grida nel deserto



Mentre il Primo Officiante terminava le formule rituali, Waldemar osservava gli Inservienti che si occupavano dei dettagli pratici, come i tamponi di cotone idrofilo per la bocca, per impedirgli di mordersi la lingua o soffocarsi, qualora la sostanza gli avesse provocato le convulsioni, le cinghie per tenerlo fermo sul lettino e altri strumenti di cui sperava non ci fosse bisogno.
Si sentiva stranamente tranquillo: era convinto della giustezza della sua scelta.
Metti da parte il fuggiasco e diventa ciò per cui sei nato!
Vide l'estrema cura con cui Jessica riuscì a inserire la siringa nel suo braccio senza provocargli alcun dolore e notò una forte empatia nei suoi occhi.
Sta facendo del suo meglio per facilitarmi le cose. A volte un fine egoistico può produrre comportamenti altruistici, come il famoso esempio secondo cui la bontà della bevanda servita dall'oste non dipende dal suo buon cuore, ma dal suo tornaconto. 
Sono paradossali i pensieri che si fanno quando si è messi di fronte al rischio della morte.
In fondo l'ironia è un meccanismo di difesa dell'Io, il quale accetta di prendere coscienza di una realtà sgradevole a patto di poterci ridere sopra. 
L'altro meccanismo è la fantasia: una mente creativa può sopravvivere anche al peggior sistema educativo e al più ingiusto sistema sociale. Perfino Jessica sarebbe d'accordo.
Il liquido iniziò a scendere lentamente.
Era fresco, non doloroso. Si espandeva lungo la circolazione venosa, dirigendosi verso il cuore.
Si sentì lievemente intorpidito, e poi confuso: l'ultima cosa che vide, prima di perdere coscienza, furono gli occhi di Jessica, verdi e luminosi, come un prato nel mese di aprile.
Mentre perdeva conoscenza, rimaneva soltanto il verde ipnotico di quegli occhi, ed il ricordo di alcuni versi letti chissà quando e chissà dove.
Vedo praterie assolate, e verde intero sereno. Lì presto cammineremo, quando verrà l'estate.



Poi ci fu il buio.
Si sentiva come galleggiare nello spazio vuoto tra una galassia e l'altra.
La sua mente si trovava in uno stadio simile a quello del sogno, ma con livello maggiore di consapevolezza.
Dopo una quantità non definibile di tempo, incominciarono a farsi avanti dei punti di luce.
Avevano forma umana, ma erano molto più belli, e brillavano di luce propria ed avevano diversi colori.



Si fecero avanti tre di essi, uno immerso in una luce blu, un altro in una luce rossa e un terzo in una luce verde.
La luce blu si fece avanti e disse:
<<Le facoltà percettive della tua mente sono sorprendenti. Mai nessuno prima era arrivato fino a noi.
Abbiamo molti nomi, ma i Grandi Antichi ci chiamano le Tre Madri del Tempo. 
Io sono la Madre dei Giorni Perduti. 
Sono qui per mostrarti le vite di coloro da cui discendi.
Molti di loro hanno fatto cose cattive.
Non si tratta necessariamente di sopraffazione: può bastare la propria adesione ad un ordine costituito basato sull'ingiustizia. 
Anche i conniventi sono colpevoli, non dimenticarlo, Figlio dei Cento Re>>



Un gorgo di immagini incominciò a vorticare intorno a lui, mentre un raggio di luce, proveniente dall'occhio del ciclone, lo trafiggeva.
In quel momento le vite dei suoi antenati scorsero rapidamente davanti ai suoi occhi interiori, divenuti in grado di memorizzare scene che nessuno avrebbe mai voluto ricordare.
L'orrore di ciò che vide lo travolse e sentì il suo corpo inarcarsi nelle convulsioni.
Fu consapevole che quello era solo l'inizio di un dolore che avrebbe potuto trasformarsi in agonia.

La Madre dei Giorni Perduti intervenne di nuovo:
<<Il vostro mondo è molto vecchio.
Quando i Grandi Antichi sono scesi sulla Terra, gli umani allo stato di natura erano quasi indistinguibili dalle bestie. Questo è avvenuto quarantamila anni fa.
Voi credete di avere fatto molti progressi, ma agli occhi dei Grandi Antichi rimanete ciò che siete sempre stati: bestie più o meno feroci, che si fanno scudo di una patina di civiltà, ma pur sempre bestie.
 Il Progetto Genetico che i Grandi Antichi avevano illustrato ai primi Iniziati avrebbe dovuto elevare l'umanità fino a renderla simile ai Signori degli Elementi, ma così non è stato>>

Waldemar avrebbe voluto protestare, gridare che non era vero, che l'umanità si era evoluta verso un grado di crescente civilizzazione, ma come accade negli incubi, le parole non gli venivano, se non come mugolii strozzati, e rìuscì solo a dire:
<<Gli Iniziati!>>

<<La colpa non è solo degli Iniziati. L'ingiustizia è sempre stata sotto gli occhi di tutti. 
L'avete accettata come inevitabile, ammettendo, in questo modo, che il Male è predominante nella vostra natura. Lo sapevate, ma avete fatto finta di ignorarlo. Lo vedevate, ma avete preferito voltarvi dall'altra parte>>

L'agonia si fece più intensa.
Waldemar voleva gridare che lui no, non si era mai voltato dall'altra parte, aveva sempre denunciato i torti, ogni volta che li vedeva, e aveva pagato molto caro questo suo coraggio,ma non riuscì ad interrompere la requisitoria della Madre dei Giorni Perduti:

<<Ora la vostra civiltà è appesa a un filo. State distruggendo voi stessi e il vostro pianeta, che pure è ancora pieno di tanta bellezza.
Molto si è discusso tra i Grandi Antichi e i Signori degli Elementi, se si debba intervenire o meno, ancora una volta, per salvarvi da voi stessi.
Non tutti credono che siate meritevoli di salvezza, ma se tu sopravvivrai a questa agonia e conoscerai i Misteri, potrai comparire al cospetto dei Grandi Antichi e ascoltare la loro sentenza>>

Waldemar allora trovò la forza per chiedere ciò che meno di tutto capiva:
<<Perché io?>>

<< Te l'ho detto. Nessuna mente umana era mai arrivata fin qui.
Se sopravviverai, sarai il nostro Messaggero e potrai ricevere doni e poteri dai Signori degli Elementi.
Ma non illuderti: se anche riuscirai a sopravvivere e a fare la scelta giusta, la tua missione sarà comunque dolorosa e frustrante, perché la tua voce sarà quella di uno che grida nel deserto
Tuttavia, se sarai persistente, forse un giorno il deserto risponderà>>

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Frodo in realtà si è tenuto l'anello in tasca...





Come avrei reagito io se fossi stato in Bilbo