venerdì 6 gennaio 2017

Partiti e movimenti curdi

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I curdi che vivono nell'Asia sud-occidentale sono stimati in circa 30 milioni, con un altro milione che vive nella diaspora. I curdi sono la quarta etnia medio-orientale dopo gli arabi, i persiani e i turchi.
Secondo la CIA World Factbook, i curdi comprendono il 18,3% della popolazione in Turchia, il 15-20% in Iraq, forse 6% in Siria,[5] 4% in Iran e l'1.3% in Armenia. In tutti questi Paesi, con l'eccezione dell'Iran, i curdi formano il secondo maggiore gruppo etnico. Circa il 55% dei curdi di tutto il Mondo vivono in Turchia, circa il 30% in Iran e Iraq, e il 5% in Siria.[6]

La repressione dei curdi

I curdi in Iran


Vista su Sanandaj, la maggiore città nel Kurdistan iraniano.
A partire dal secondo dopoguerra e dalla proclamazione dell'effimera Repubblica di Mahabad, lo Scià Reza Pahlavi dovette a lungo confrontarsi con la guerriglia dei Curdi, guidati dalla famiglia Barzani, in particolare dallo sceicco Mustafa Barzani. Tale fenomeno durò fino al 1974, quando gli iracheni si riappacificarono (temporaneamente e apparentemente) con gli iraniani e ritirarono l'appoggio al leader della guerriglia.
Il governo di Teheran ha esercitato una dura repressione nei confronti dei curdi iraniani. Il 14 settembre 1981 18 operai curdi furono uccisi in una fabbrica di mattoni nel villaggio di Sarougliamish. I Curdi iraniani sono stati sottoposti a esecuzioni sommarie e torture; le donne, in particolare giovani vergini, hanno subìto stupri e violenze. [7] In generale, in Iran, abusi e femminicidi istituzionalizzati hanno avuto particolare rilevanza: tutte le donne, ma in particolare quelle curde, sono molto poco tutelate dal governo di Teheran contro ogni forma di molestie sessuali. [8]

I curdi in Iraq

I curdi sono circa il 17% della popolazione irachena. Essi si trovano in maggioranza nelle tre provincie dell'Iraq settentrionale e vanno a formare nell'insieme il Kurdistan iracheno. I curdi sono inoltre presenti a KirkukMossul, Khanaqin e Baghdad. Circa 300.000 curdi vivono nella capitale irachena, Baghdad, 50.000 nella città di Mossul e circa 100.000 nell'Iraq meridionale.[9] Dohuk è la città più piccola, ed è considerata la capitale del Badinan.

Il presidente dell'Iraq, Jalal Talabani, a un incontro con ufficiali U.S. a Baghdad, il 26 aprile 2006.
In Iraq si sono verificate e continuano a verificarsi le repressioni di più ampia portata nei confronti dei curdi iracheni: essi hanno infatti sempre rappresentato la resistenza più matura e organizzata, subendo così deportazioni di massa in Iran, bombardamenti di villaggi e attacchi con armi chimiche.
Allo scoppio della guerra tra Iran e Iraq, le autorità irachene ordinarono le deportazioni di migliaia di curdi in Iran. I deportati erano in maggioranza donne, vecchi e bambini, mentre i maschi vennero arrestati e imprigionati senza alcuna accusa.
Parecchie migliaia di curdi iracheni, negli anni sessanta, sono stati arrestati, uccisi, fatti sparire dalle forze di sicurezza o dai servizi segreti iracheni (ad es. 8.000 curdi “sparirono” nel 1983da Arbil e tutt'oggi di loro non si sa più nulla). Nel 1985 altri 3.000 ragazzi curdi sono stati arrestati e torturati dalle forze di sicurezza irachene: sembra fossero stati catturati come ostaggi per obbligare i loro parenti “a consegnarsi alle autorità”. Nel biennio 1987-1988 è stata fatta la più grande repressione nei confronti dei Curdi: le circostanze in cui le autorità irachene usarono armi chimiche con migliaia di morti indicano un preciso disegno politico teso all'eliminazione dei curdi iracheni. Nel 1988 furono uccisi 5.000 curdi in soli due giorni a seguito di un attacco chimico[10]dieci giorni dopo nel Qaradash è stato lanciato un altro attacco chimico: 400 sopravvissuti sono stati arrestati e giustiziati poi mentre cercavano di raggiungere un luogo di cura.

Bambini curdi a Sulaymaniyya

Donne curde di religione israelitica (1905)
Gli attacchi delle forze irachene sono continuati su tutta la zona abitata da curdi, che sono scappati in massa verso i confini turco e iraniano: nel 1988 le autorità turche confermarono di aver dato rifugio a 57.000 Curdi iracheni.
Tra la fine del 1988 e il 1990 centinaia di Curdi sono stati uccisi sommariamente dopo essere stati convinti dalle autorità irachene a rientrare nel paese.

I curdi in Turchia

Secondo il CIA factbook, i curdi formerebbero approssimativamente il 18,3% della popolazione della Turchia (circa 14 milioni) nel 2008.[11] La stima non comprende il popolo Zaza che è generalmente considerato curdo. Fonti curde invece sostengono che in Turchia ci siano fino a 25 milioni di curdi. Nel 1980, l'Ethnologue stimò che il numero di persone che parlavano la lingua curda in Turchia era di circa 5 milioni,[12] all'epoca la popolazione del paese si aggirava sui 44 milioni.[13] Durante gli Anni 1930 e gli Anni 1940, il governo mascherò statisticamente la presenza dei curdi categorizzandoli come "turchi di montagna". Questa classificazione fu sostituita da un nuovo eufemismo Turchi orientali dal 1980.[14]
Nonostante la Turchia abbia approvato la Convenzione dell'Onu contro la tortura e quella del Consiglio d'Europa, la tortura in Turchia è ancora diffusa, seppur moderatamente, verso gli oppositori politici e gli esponenti della comunità curda.[15]

In Siria

I curdi sono il 5% della popolazione in Siria, per un totale di 0,6 milioni[16] Questo fa di loro la più grande minoranza etnica del paese. Sono concentrati prevalentemente nel nord e nel nord-est, anche se anche ad Aleppo e Damasco sono presenti significative popolazioni curde. I curdi usano spesso parlare la loro lingua in pubblico, sempre che le persone presenti facciano altrettanto. Gli attivisti per i diritti umani dei curdi vengono maltrattati e perseguitati.[17] Non è permessa la formazione di nessun partito politico, Curdo o di altra natura.

In Afghanistan

Una presenza dei Medi, principale popolo da cui derivano i Curdi, nelle regioni costituenti il moderno Afghanistan, risale alla più remota antichità. Proprio in tali terre, nacque il profeta Zarathustra. Una presenza curda, esplicitamente definita con tale termine, proveniente dal vicino Khorasan (nord est dell'Iran), dove il Safavide Scià Abbas esiliò migliaia di curdi, vive nelle terre afgane sin dal XVI secolo.[18] Molti di quelli che furono esiliati si stabilirono definitivamente in Afghanistan, prendendo residenza a Herat e nelle altre città dell'Afghanistan occidentale. Alcuni Curdi ricoprono alte posizioni di governo all'interno dell'Afganistan, come Ali Mardan Khan che fu nominato governatore di Kabul nel 1641.[19] I curdi affiancarono gli Afghani durante le loro guerre contro l'impero di Safavidi, e nei conflitti seguenti con gli altri poteri regionali.[20] Il numero dei curdi attualmente presenti in Afghanistan è difficile da calcolare, nonostante sia noto che si aggiri approssimativamente intorno ai 200.000.[21] Rimane non chiarito fino a che punto la minoranza curda in Afghanistan abbia mantenuto il linguaggio curdo.

In Armenia

Al comando dei turchi, i curdi parteciparono attivamente al massacro di migliaia di giovani armeni durante il genocidio armeno[22]. Fra gli anni trenta e gli ottanta del Novecento, l'Armenia faceva parte dell'Unione Sovietica, nella quale i Curdi, come gli altri, erano riconosciuti con lo status di minoranza protetta. Ai curdi armeni fu permesso di avere un loro giornale sponsorizzato dallo Stato e una radio che trasmetteva gli eventi culturali. Durante il conflitto in Nagorno Karabakh, molti curdi che non erano Yazidi furono costretti a lasciare le loro case. Con la fine dell'Unione Sovietica, i curdi dell'Armenia furono spogliati di tutti i loro privilegi culturali e la maggior parte di loro fuggì dalla Russia all'Europa Occidentale.[23]

In Azerbaigian

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Oblast' Autonoma del Nagorno Karabakh.
Nel 1920, le due aree abitate dai curdi di Jewanshir (capitale K'arvač̣aṙ) e l'orientale Zangazur (capitale Lachin) furono combinate per formare l'Okrug Curdo (o "Kurdistan rosso"). Il periodo di esistenza di un'unità amministrativa curda fu breve e non andò oltre il 1929. I curdi affrontarono di conseguenze molte misure repressive, comprese le deportazioni. Come conseguenza del conflitto in Nagorno Karabakh, molte aree curde furono distrutte e più di 5.000 curdi furono deportati nel 1988.[23]

Il Partito Democratico del Kurdistan, PDK, (in curdoپارتی دیموکراتی کوردستان‎‎, Pārtī Dīmūkrātī Kūrdistān) è un partito politico curdo, attualmente guidato dall'attuale Presidente del Kurdistan irachenoMas'ud Barzani.
Il PDK controlla il Sud del Kurdistan assieme all'Unione Patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani, diventato dopo la caduta del regime ba'thista Presidente dell'Iraq, grazie all'appoggio determinante degli Alleati anglo-statunitensi.
Negli anni settanta, e questo fino alla sua presa di controllo da parte del PKK, il Nord del Kurdistan sosteneva fortemente il PDK e Barzani. Questo perché un gran numero di peshmerga sotto il comando di Barzani era originario del Nord. Inoltre, il PDK disponeva di basi arretrate rispetto al Nord, specie nella provincia di Colemerg (in turco Hakkari).
Ancor oggi, il PDK dispone d'un fortissimo sostegno da parte della popolazione curda. È visto come il partito che meglio difende le cause della popolazione. Inoltre, malgrado gli attacchi condotti, ora dal PKK, ora dal UPK, per destabilizzare il PDK, il partito ha saputo restare unito e questo conferma la sua forza. In effetti, è in seno all'UPK (che ha peraltro condotto assieme al PKK una guerra fratricida contro il PDK) che vi è stato il maggior numero di diserzioni: un gran numero di leader l'hanno abbandonato in favore del PDK, o a favore del dissidente patriottico Nashirvan Mustafa e del suo partito, il Goran.

L'Unione Patriottica del Kurdistan (in lingua curda یەکێتیی نیشتمانیی کوردستان, trascritto Yeketî Niştîmanî Kurdistan) noto anche con l'acronimo UPK (o "PUK", dall'inglese"Patriotic Union of Kurdistan"), è un partito politico del Kurdistan iracheno[2] fondato il 1º giugno 1975 da Jalal Talabani e Nawshirwan Mustafa. Il Segretario Generale è Jalal Talabanipresidente dell'Iraq dal 2005 al 2014, quando gli succedette nella carica un altro esponente del partito, Fuad Masum. Obiettivi dichiarati del partito sono l'autodeterminazione, i diritti umani, la democrazia e la pace per il popolo curdo del Kurdistan e dell'Iraq.

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (in curdo Partîya Karkerén Kurdîstan, sigla PKK; in turcoKürdistan İşçi Partisi) è un partito politico e organizzazione paramilitare, sostenuto delle masse popolari (prevalentemente agricole) del sud-est della Turchia, zona popolata dall'etnia curda, ma attivo anche nel Kurdistan iracheno. In Turchia è un partito illegale.
Inizialmente il gruppo si ispirava al marxismo-leninismo, rivendicando inoltre, similmente agli iracheni Partito Democratico Curdo (KDP o PDK) e Unione Patriottica del Kurdistan(KPU), ai partiti iraniani Partito Democratico del Kurdistan Iraniano e Partito per la Libertà del Kurdistan (PJAK), al siriano Partito dell'Unione Democratica (PYD) e altri partiti curdi minori, la fondazione di uno stato indipendente nella regione storico-linguistica del Kurdistan, a cavallo tra Turchia, IraqIran e Siria.
Dal 1990, il PKK ha avuto rappresentanti parlamentari, inseriti in liste legali, presso il Parlamento turco.
A partire dal 1999, il leader incarcerato Abdullah Öcalan ha abbandonato il marxismo-leninismo[10], rimuovendo il simbolo della falce e martello dalla bandiera del PKK, portando il partito ad adottare la nuova piattaforma politica del Confederalismo Democratico[11] (fortemente influenzato dalla teoria del municipalismo libertario e dell'ecologia sociale di ambito socialista libertario[12]).
Il gruppo viene tuttavia, da più parti, accusato di terrorismo per i suoi metodi di lotta (in passato fece ricorso anche all'uso di attentati dinamitardi e kamikaze contro obiettivi militari turchi, ritenuti oppressori del popolo curdo, specie in seguito alle sanguinose repressioni del governo di Ankara, o anche a sequestri di occidentali[13]), ed è attualmente considerata un'organizzazione terroristica da TurchiaUSANATOUnione europea (dal 2001, su richiesta degli USA) e Iran; in Europa ci sono state numerose proposte di rimuoverlo da tale lista e considerarlo una legittima forza di resistenza.[14] Tuttavia, IndiaCinaRussiaSvizzera ed Egitto non lo considerano tale.[15][16] Le sue ali militari sono la Forza di Difesa del Popolo (HPG), l'Unità delle Donne Libere (YJA-STAR) e l'Esercito di Liberazione Nazionale del Kurdistan (ARGK).
Oltre che contro il governo turco (con cui è in vigore un cessate il fuoco dal 2013), il PKK è impegnato nella guerra contro lo Stato Islamico (ISIS) in Iraq e in Siria assieme ai peshmerga e all'YPG curdi, ed è presente nella regione del Rojava. Il partito è inoltre molto noto per la sua difesa convinta dei diritti delle donne, spesso presenti come soldati effettivi nelle sue milizie armate, e la sua forte contrarietà al fondamentalismo islamico.
Nel 2015, nonostante il nemico comune dell'ISIS, la Turchia, guidata da anni dal filo-islamico Recep Tayyip Erdoğan, ha interrotto la nuova tregua, bombardando postazioni del PKK in Iraq e riaprendo le ostilità armate col gruppo curdo.

Anni recenti

Nel maggio 2000 l'Europa invitò a Strasburgo, come portavoce permanente, un rappresentante del Kurdistan turco; sull'onda degli attentati dell'11 settembre 2001, però, il PKK fu inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche e il processo avviato dall'Europa entrò in una fase di stallo.[17]
Nel 2006 il governo turco approvò una legge secondo cui i minori che manifestano sostegno alle formazioni riconducibili al PKK possono essere arrestati secondo procedure normali per il caso. Inoltre l'avvocato Thair Elci, noto per difendere a livello giuridico i minorenni incarcerati per l'accusa di sostegno al terrorismo curdo afferma: «Secondo la decisione dell'alta corte, gli inquirenti non necessitano di prove per affermare che qualcuno abbia commesso reato in nome del PKK. La sola partecipazione ad una manifestazione di piazza costituisce prova sufficiente».[17]
Questa norma, atta a scoraggiare le manifestazioni a favore dei guerriglieri curdi però sta ottenendo un effetto contrario a quello pensato: infatti un gran numero di coloro che prima simpatizzavano solamente per il PKK, incontrando in prigione guerriglieri e militanti, decide di abbracciare totalmente la causa curda.[23]
Però da ambo le parti si iniziano a intravedere segnali di apertura. Infatti il leader curdo Murat Karayilan, ha detto: «Innanzitutto le armi devono cominciare a tacere. Non bisognerebbe lanciare nuovi attacchi e a quel punto dovremmo confrontarci. Non con le armi, ma con il dialogo. Vogliamo che si metta fine allo spargimento di sangue, perché gli anni passano e continuiamo a tornare sempre allo stesso punto. Non si metterà fine al PKK con l'uso delle armi».
Inoltre il leader del PKK ha valutato positivamente le dichiarazioni del presidente turco, Abdullah Gul che, in occasione della sua recente visita in Siria, ha espresso la necessità di risolvere il problema curdo e la sua speranza in una vicina e pacifica soluzione. Qarayland ha detto che «... le dichiarazione di Gul devono essere accompagnate da passi concreti», anche se c'è da aggiungere che gli scontri fra esercito Turco e combattenti del PKK sono all'ordine del giorno, con perdite da entrambe le parti.
Il 14 luglio del 2011, nell'imboscata più sanguinosa degli ultimi tre anni, guerriglieri indipendentisti curdi del PKK hanno ucciso 13 soldati nel sud-est della Turchia ferendone altri sette. Le forze armate turche hanno reagito uccidendo almeno sette membri del PKK nel più recente capitolo di questione etnica che, in un quarto di secolo, ha fatto decine di migliaia di morti e stenta a trovare soluzione politica, come testimonia il boicottaggio curdo al parlamento di Ankara. Gli scontri sono avvenuti nell'impervia zona di Silvan, città situata ad un'ottantina di chilometri a est di Diyarbakir, la 'capitale' dell'indipendentismo curdo.[17]
Il 25 luglio del 2011 altri tre soldati turchi sono stati uccisi in un'imboscata dei guerriglieri nel sud-est del paese, in una zona rurale, nei pressi della cittadina di Omerli (provincia di Mardin).
Il 17 agosto del 2011 per la prima volta aerei da guerra turchi hanno sconfinato nello spazio aereo iracheno per bombardare postazioni dei guerriglieri curdi del PKK.[17]
Il 24 settembre del 2011 i guerriglieri curdi del PKK hanno lanciato un attacco a una piccola stazione di polizia nel sud-est della Turchia uccidendo cinque poliziotti e ferendone una decina.[17]
A marzo 2013 Öcalan ha annunciato il "cessate il fuoco" ed il ritiro dei guerriglieri del PKK dal territorio turco, dando il via alle trattative di pace con la Turchia.[24] Attualmente il PKK sta tentando di realizzare, nella situazione di RojavaKobanê e in tutto il Kurdistan che controlla in opposizione all'ISIS, la propria ideologia comunista libertaria sotto forma di un "confederalismo democratico" basato sulla democrazia diretta e su un'economia solidale ed ecologica.[17]

Note

  1. ^ Bese Hozat, Bese Hozat: PKK is a social system today, su pkkonline.com, 25 novembre 2013. URL consultato il 18 giugno 2015.
  2. ^ Joost Jongerden, Rethinking Politics and Democracy in the Middle East (PDF), ekurd.netURL consultato l'8 settembre 2013.
  3. ^ Abdullah Öcalan, Democratic Confederalism (PDF), 2011, ISBN 978-0-9567514-2-3URL consultato l'8 settembre 2013.
  4. ^ Abdullah Öcalan, The declaration of Democratic Confederalism, su KurdishMedia.com, 2 aprile 2005. URL consultato l'8 settembre 2013.
  5. ^ (TRBookchin devrimci mücadelemizde yaşayacaktır, su Savaş Karşıtları, 26 agosto 2006. URL consultato l'8 settembre 2013.
  6. ^ Graeme Wood, Among the Kurds, in The Atlantic, 26 ottobre 2007. URL consultato l'8 settembre 2013.
  7. ^ Sule Toktas, Waves of Feminism in Turkey: Kemalist, Islamist and Kurdish Women’s Movements in an Era of Globalization | sule toktas, Academia.edu, 1 gennaio 1970. URL consultato il 14 agosto 2014.
  8. ^ Paul Campos, Kurdistan's Female Fighters, The Atlantic, 30 gennaio 2013. URL consultato il 14 agosto 2014.
  9. ^ Fred Halliday, The Middle East in International Relations: Power, Politics and Ideology, Cambridge University Press, 24 gennaio 2005, p. 247, ISBN 9780521597418URL consultato il 25 agosto 2013.
  10. ^ Abdullah Öcalan, "Prison Writings: The Roots of Civilisation", 2007, Pluto Press. (p. 243-277)
  11. ^ Democratic Confederalism | Partiya Karkerên Kurdistan - PKK Official Site
  12. ^ Il confederalismo democratico, proposta libertaria del popolo curdo
  13. ^ Zeynep Kinaci (Zilan)
  14. ^ Remove the PKK From the Terror List, Huffington Post, 21 maggio 2013. URL consultato il 2 luglio 2015.
  15. ^ Rus Aydın: PKK Terör Örgütü Çıkmaza Girditurkishny.comURL consultato il 17 luglio 2015.
  16. ^ St.Galler Tagblatt AG, www.tagblatt.ch – Schlagzeilentagblatt.chURL consultato il 25 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2007).
  17. ^ a b c d e f g h i j k l m n The Kurdistan Workers Party and a New Left in Turkey: Analysis of the revolutionary movement in Turkey through the PKK's memorial text on Haki Karer
  18. ^ Il congresso delle donne libere ricorda Zilan
  19. ^ a b la Repubblica/fatti: Ocalan: il tribunale concede l'asilo politico
  20. ^ Ocalan, Diliberto finisce tra gli indagati
  21. ^ OCALAN: COSSUTTA, ITALIA SOSPENDA VENDITA ARMI A TURCHIA
  22. ^ Ocalan, paura per la sua vita
  23. ^ Fonte: Peace Reporter[senza fonte]
  24. ^ Turchia, Ocalan annuncia il 'cessate il fuoco' e il ritiro dei ribelli del Pkk oltre i confini - Repubblica.it

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