venerdì 31 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 54. Tutti insieme appassionatamente



Di ritorno dal viaggio di nozze, nel mese di gennaio del 1975, Silvia era già incinta. 
Lei e Francesco presero dimora, temporaneamente, a Villa Orsini.
All'epoca l'antica residenza dei Conti di Casemurate ospitava molte persone.
Oltre ai padroni di casa, Ettore Ricci e Diana Orsini, c'erano le loro anziane madri Clara Ricci ed Emilia Orsini, la sorella di lui, Adriana, la governante Ida Braghiri col marito Michele e spesso erano presenti anche i nipotini di Ettore e Diana, e cioè Fabrizio Spreti e Alessio Zanetti.
La convivenza si rivelò subito difficile.
Francesco Monterovere aveva uno stile di vita completamente diverso da quello della famiglia Ricci-Orsini.
Il primo episodio curioso si ebbe quando Francesco decise di preparare il caffè ai suoceri, dopo pranzo.
Dichiarò di essere un mago nel preparare il caffè e non volle nessuno attorno, nemmeno l'onnipresente Ida Braghiri.
Dopo qualche minuto, una terribile puzza di bruciato si levò sopra ai fornelli. 
Francesco si era dimenticato di mettere l'acqua nella caffettiera,
Poiché la cosa gli accadeva di frequente, a causa della sua proverbiale distrazione, rimase imperturbabile e tornò in sala da pranzo dicendo:
<<Ho bruciato la caffettiera, ormai è da buttare. Dove posso trovarne un'altra?>>
Ettore Ricci, la cui tirchieria era altrettanto proverbiale, lo fissò con occhi infuocati e poi si rivolse alla figlia in dialetto, come faceva sempre quando era infuriato:
<<Ma quest che que, din dal venal?>> che tradotto significava "Ma questo qui da dove viene?"
Ida Braghiri, trionfante nel vedere le prime crepe dell'immagine reverenziale del Professore, gli diede la sua, premurandosi di osservare da vicino tutta la situazione.
Il secondo episodio si ebbe quando Francesco portò a Villa Orsini il suo stereo di Faenza.
Lo collocò in uno studiolo vicino allo studio di Ettore Ricci.
Poi mise su un disco di musica operistica e fece partire la marcia trionfale dell'Aida di Verdi a tutto volume.
Nel giro di una frazione di secondo, Ettore Ricci, imbestialito, si diresse verso lo studiolo bestemmiando pesantemente, ma fu fermato da sua moglie.
Diana gli disse:
<<Lascia che gli parli io>>
Ma Ettore era fuori controllo e come sempre, in quelle situazioni, passava al dialetto:
<<E fa salté vi la ca!>> (Fa saltar via la casa)
E poi, spalancando la porta:
<<Se non spegni quell'accidente di coso, te lo butto dalla finestra! Tu e le tue diavolerie! Come quell'altro aggeggio... come si chiama? Quell'arnese assurdo...>>
Francesco, meravigliato, rispose con aria innocente:
<<E' un microprocessore, un Intel 8080. . Me lo sono fatto mandare da mio zio Alfredo, che vive in America>>
Ettore sgranò gli occhi:
<<Lo zio Alfredo! L'unico zio d'America che invece di mandare soldi li chiede! Guarda che lo so quanto ti ha fatto spendere per quell'aggeggio. Comunque è chiaro che non serve a niente>>
Francesco guardò il suocero sorridendo:
<<Per il momento. Ma tra un anno o due farà miracoli>>
Ettore uscì scuotendo la testa e borbottando tra sé.
Poi incominciarono ad arrivare i volumi rilegati della Grande Enciclopedia De Agostini, con annesse rate di pagamento.
Ettore Ricci all'inizio credette che si trattasse di un errore del postino e lo cacciò in malo modo.
Quando Francesco chiese se era passato qualcuno con il nuovo volume dell'Enciclopedia, Ettore sbiancò:
<<Ma con quelle rate ci potresti pagare un mutuo! E quanti libri sono? E' impossibile leggere tanti libri!>>
<<L'Enciclopedia non è un libro da leggere, ma da consultare>>
Ettore scosse la testa, sdegnato:
<<Va là, va là, va là!>> bofonchiò e poi passò al dialetto <<Dal robi acsè, me deg a e mond!>>
L'espressione è quasi intraducibile in italiano, perché perderebbe la sua efficacia, volendo dire, più o meno: "Delle cose così non possono esistere al mondo, dico io".
Poi arrivarono le rate della macchina, una Citroen azzurra dalla forma aerodinamica, comprata da Francesco poco prima del matrimonio.
Ettore questa volta andò a protestare direttamente da sua figlia, investendola con un profluvio di parole in dialetto:
<<Cun tot ch'iom cu iè a e mond, t'avivta da tu propri quel che lè? Un sgrazié cun al pezi in te cul!>> che tradotto suonava all'incirca: "Con tutti gli uomini che ci sono al mondo, proprio quello ti dovevi prendere? Un disgraziato con le pezze al culo!"
<<Presto ci trasferiremo a Forlì, così non dovrai più sopportarci>>
<<A Forlì... ma se non avete ancora trovato un appartamento? E con cosa lo pagherete? Non avete già abbastanza rate che vi mangiano lo stipendio?>>
<<Troveremo un modo, papà. Ma nel frattempo, dobbiamo cercare di convivere in maniera civile. Io aspetto un figlio e devo stare tranquilla. E poi non voglio che mio figlio nasca in una famiglia litigiosa>>
Ettore sbuffò e alla fine cedette:
<<Entro giugno vi trovo una casa. Non voglio neanche che mi paghiate l'affitto, basta che vi togliete dai c... ehm, dai piedi!>>

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