lunedì 23 gennaio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 6. La fortuna dei Ricci e la disgrazia degli Orsini

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Ma com'era stato possibile che una famiglia di contadini fosse riuscita a fare così tanti soldi da entrare in possesso di tutte le ipoteche che gravavano sul Feudo Orsini?

Il vecchio Giorgio Ricci era il capofamiglia e quello che teneva i cordoni della borsa, ma non era sempre stato così.
Ultimo di un imprecisato numero di fratelli, era cresciuto quasi come un animale selvatico.
Basso, tarchiato, irsuto come un cinghiale, aveva occhi infuocati e penetranti, capelli ispidi come setole, una perenne barba di tre giorni, da carcerato, e un'aria cupa e vagamente minacciosa.
Fuggito di casa all'età di tredici anni, aveva lavorato come "garzone" in varie tenute di campagna, senza dare confidenza a nessuno.
A differenza degli altri della sua età, non spendeva tutto il suo magro salario in osterie e bordelli: i suoi appetiti erano ben altri.
L'essere nato per ultimo, così come l'essersi sentito sempre l'ultima ruota del carro, in ogni circostanza, avevano procurato in lui una reazione ben precisa, e cioè quella di ribaltare il suo destino diventando il primo, sempre, ovunque, in ogni modo.
Sapeva benissimo, però, che sgobbare e risparmiare, di per sé, non era una strategia vincente per diventare i primi.
Bisognava anche correre qualche rischio.
Giorgio Ricci scoprì di avere il bernoccolo degli affari, specie nelle trattative di compravendita.
Riusciva sempre a ottenere il prezzo che voleva.
Era come un grosso gatto sornione che giocava col topo prendendolo per sfinimento.
Poteva stare giorni interi a contrattare il prezzo della vendita di un pollo.
I padroni se ne accorgevano e gli affidavano sempre più spesso l'incarico di comprare e vendere sementi, bestiame, raccolti, prodotti caseari e artigianali, non faceva differenza: lui riusciva sempre a ottenere un prezzo conveniente.
In cambio di queste mediazioni, Giorgio Ricci si faceva pagare una percentuale.
Alla fine riuscì a raggranellare un certo gruzzolo che gli permise di comprare una piccola casa colonica con un pezzo di terra attorno, che gli serviva come pretesto per fingere di fronte al mondo intero di essere soltanto un piccolo coltivatore diretto.
In realtà la sua professione era quella di sensale, o come diremmo oggi, di mediatore.
Non appena ebbe raggranellato un altro gruzzolo, inizio a praticare la vera attività a cui aveva sempre aspirato, e cioè quella di usuraio.
La prima preoccupazione di uno strozzino serio è quella di garantirsi la copertura delle autorità locali, fornendo generose disponibilità liquide, senza interesse e a fondo perduto ad ogni notabile, pubblico o privato.
Tutti gli altri, invece, dovevano pagare tassi molto elevati e se sgarravano rischiavano di incorrere in incidenti spiacevoli.
Giorgio ottenne la sua prima rivincita morale sul destino quando i suoi fratelli maggiori si presentarono da lui col cappello in mano, ricordando con eccezionale nostalgia "i bei tempi andati".
Lui si mostrò incredibilmente magnanimo e garantì ai fratelli un trattamento di favore, dando loro persino validi consigli su come far fruttare il denaro.
Di fatto i fratelli di Giorgio Ricci divennero i suoi prestanome.
Il primogenito, Amilcare (perché all'epoca andavano di moda quei nomi lì, dietro suggerimento di fantasiosi parroci a giovani parrocchiani che dovevano battezzare i marmocchi) fondò un'officina di riparazione di strumenti per l'agricoltura, che presto si trasformò in una piccola fabbrica di macchine agricole.
Il secondogenito, Teodorico, comprò una tenuta con ottimi vigneti e frutteti.
Il terzogenito, Enotrio, divenne titolare di numerosi allevamenti di bestiame.
Il quartogenito, Paride, mise su un'osteria, con albergo a ore (di fatto un bordello) e altre simili attività ricreative.
Poi vennero le sorelle.
Carolina fondò una maglieria con annesso negozio di vestiti e attività sartoriali, impiegando ragazze che lavoravano 12 ore al giorno per un salario da fame (e a volte integravano il reddito facendo "servizi" presso l'albergo di Enotrio) e
Adriana, che era rimasta nubile e abitava ancora con i vecchi genitori, Primo e Severina, ebbe l'incarico delle "pubbliche relazioni". Di fatto la sua attività consisteva nel raccogliere dati e informazioni su tutto e su tutti, con tecniche di spionaggio che avrebbero fatto impallidire i servizi segreti di mezzo mondo.
Una volta assicuratosi il controllo di tutta l'economia locale tramite i fratelli e le sorelle, Giorgio decise di prendere moglie.
Per lui, che aveva fatto a malapena la terza elementare, il primo passo di ascesa sociale consistette nello sposare una donna istruita e di buona famiglia.
Dopo attente valutazioni, trovò la persona che faceva per lui.
Clara Valentini era una giovane e graziosa maestra elementare, figlia di proprietari terrieri decaduti, e per un po' di tempo fu l'unica insegnante nella scuola di Casemurate.
Poteva vantare inoltre un'amicizia con la signorina Emma De Toschi, figlia di Violetta Orsini, una delle sorelle del vecchio Conte Vittorio.
Si erano conosciute in collegio. Emma aveva poi continuato a studiare all'università, lettere classiche, a Bologna.
Siccome la famiglia Valentini aveva grossi debiti nei confronti di Giorgio Ricci, e tenendo conto che la giovane maestrina Clara, per quanto colta e brillante, era piuttosto bruttina, slavata, secca e col naso lungo, la proposta di matrimonio da parte del Ricci ebbe l'approvazione sia dei genitori che della ragazza.
Alla fine si tratto di un matrimonio fortunato, nel senso che Giorgio Ricci ottenne quello che aveva sempre desiderato, e cioè essere ammesso alla corte degli Orsini, e la Maestra Clara ottenne finanziamenti per pubblicare numerosi saggi storici, tra cui le già citate "Cronache casemuratensi", che la resero una vera e propria autorità locale dal punto di vista della cultura.
Da quel matrimonio nacquero vari figli, destinati a loro volta ad uno sfrenato arrampicamento sociale.
Nel frattempo Giorgio Ricci divenne il finanziatore di tutte le stravaganti iniziative del vecchio Conte Vittorio in costose attività di editoria dilettantistica, giardinaggio, architettura, campi da golf, laghi di pesca sportiva, bacini di canottaggio e altre amenità che forse avrebbero avuto qualche speranza se fossero state più vicine alla riviera e non a un borgo di contadini.
I tempi di Mirabilandia erano ancora lontani. E gli agriturismi non hanno raggiunto Casemurate nemmeno oggi.
Quando il Conte Vittorio morì, nel 1930, il suo primogenito e successore Conte Achille si rese conto che tutte le sue terre e proprietà, compresa la Villa, erano gravate da ipoteche a favore di Giorgio Ricci.
A quel punto l'usuraio e il nobiluomo incominciarono a prendere in considerazione l'idea che forse un'alleanza matrimoniale tra i loro figli avrebbe potuto risolvere molte spiacevoli questioni.

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