venerdì 17 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 30. La famiglia Monterovere guarda a Sud.



Francesco Monterovere non era stato avvertito della morte del nonno Enrico. Il Seminario dei Salesiani, infatti, aveva regole molto restrittive per quanto riguardava la comunicazione degli allievi con le famiglie.
Probabilmente i suoi genitori, Romano e Giulia, pensavano che avrebbe appreso la notizia dai manifesti che erano stati affissi per tutta Faenza, ma non fu così.
La domenica successiva, mentre la scolaresca dei seminaristi si recava al Duomo per assistere all'ennesima omelia del Vescovo contro i pericoli del comunismo, Francesco notò i manifesti a caratteri cubitali che annunciavano la morte del compagno Stalin, e si ricordò che i missionari cattolici in visita al Seminario giuravano che in Russia i comunisti mangiavano i bambini.
Tre anni dopo si seppe che i crimini di Baffone erano ben altri, ma quello non era un problema di Francesco Monterovere, almeno non in quel momento.
Il vero problema, per Francesco fu che i manifesti per la morte del leader sovietico erano talmente numerosi e grandi nelle dimensioni, che oscurarono quasi del tutto quelli che annunciavano la morte di suo nonno, Enrico Monterovere.
Per il ragazzo, che era molto legato al nonno, questa circostanza rimase segnata nella memoria come una colpa personale. E invece era più che altro la prova di quanto fosse restrittiva la sua condizione di seminarista.
Il rendimento scolastico era buono, ma lui si sentiva sempre più come un recluso.
La messa tutte le mattine alle 6, le regole rigide, l'assenza di intimità, la mancanza di affetto familiare, la noia infinita, il senso di claustrofobia e di oppressione: tutto era diventato insopportabile.
In quel periodo le uniche cose positive di quell'esperienza seminariale erano le lezioni di pianoforte che un anziano e benevolo sacerdote impartiva al giovane Francesco, che aveva per la musica un talento particolare.
La sua fede si estinse ben presto e ovviamente la vocazione non si fece mai nemmeno lontanamente sentire. Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, la disciplina salesiana e la presenza di una fornita biblioteca, gli permisero di farsi una cultura generale che poi gli valse per tutta la vita la fama di intellettuale completo, e gli facilitò gli studi universitari e la successiva professione nell'insegnamento.
Nel frattempo, la famiglia Monterovere si era riunita, dopo la dipartita del patriarca, e la vedova Eleonora, che viveva con la figlia Anita, insegnante elementare, decise di ospitare nel suo appartamento di Faenza il fratello Tommaso, che aveva intrapreso la carriera politica ed aveva le mani in pasta dappertutto.
L'Azienda Escavatrice e Idraulica dei Fratelli Monterovere, anche grazie alle amicizie politiche di Tommaso, era riuscita a entrare nel Consorzio per la realizzazione del Canale Emiliano Romagnolo per l'irrigazione agricola.
Fu così realizzato sogno coltivato per decenni dal Profeta delle Acque, ossia, l'ingegner Francesco Lanni, suocero di Romano Monterovere e nonno materno di Francesco.
Non era un sogno da poco.
Si trattava di un'idea ambiziosa, dal momento che questo canale avrebbe dovuto pompare verso l'alto l'acqua del fiume Po dal Cavo Napoleonico fino alle coste della Romagna.
Il Po infatti, in Val Padana, rappresenta il punto più basso della pianura, pertanto, se le sue acque dovevano essere portate altrove, era necessario che risalissero tramite un particolare sistema di idrovore e sifoni (con cui sottopassavano gli altri canali e i piccoli fiumi della Romagna).
L'Azienda Fratelli Monterovere si doveva occupare del tratto compreso tra Faenza e Cesena.
Fu così che i Monterovere ebbero in appalto anche la costruzione del Canale nei territori della Contea di Casemurate.
A posteriori furono in molti a dire che si trattava di uno strano scherzo del destino, perché le mappe disegnate in quegli anni indicavano un percorso che la famiglia Monterovere era destinata a seguire, verso la sua personale Terra Promessa, e cioè la Contea di Casemurate, e quindi anche verso le famiglie che la dirigevano, gli Orsini e i Ricci.
Le vite dei componenti della famiglia Monterovere erano procedute parallelamente a quelle degli Orsini-Ricci, ma loro sorte era quella che anni dopo Aldo Moro avrebbe espresso con la famosa formula delle "convergenze parallele".
La direzione era stata tracciata, e come spesso Francesco Monterovere ebbe a dire dopo aver trovato proprio laggiù la sua anima gemella, "persino due rette parallele sono destinate ad incontrarsi, all'infinito".
Non si sapeva ancora dove il Canale sarebbe terminato.
Si sapeva soltanto che era diretto a sud.
E tutti chiedevano ai fratelli Monterovere: <<A sud, d'accordo, ma dove?>>
E Romano rispondeva, indicando la sconfinata pianura:
<<Lontano>>